Dopo essersi protratto per otto anni, negli ultimi mesi il maledetto conflitto fratricida ucraino si avvita lungo una vorticosa discesa verso un’annunciata deflagrazione finale. Per chi vuole capire la tragedia ucraina, c’è un libro fondamentale, che dovrebbe essere letto da tutti coloro che la commentano inopinatamente, spesso usando categorie valoriali tipo la dicotomia democrazia/ politica di potenza: Yulia Yurchenko, Ukraine and the Empire of Capital from Marketisation to Armed Conflict (Pluto Press, 2018).

UCRAINA MARXISTA formatasi all’analisi politica in Inghilterra, Yushenko disseziona l’intreccio perverso alla base del conflitto. Divenuta rapidamente un insieme di feudi oligarchici dopo la scomparsa dell’Urss, l’Ucraina è stata un laboratorio di sperimentazione di tecniche politiche ibride di manipolazione di massa dove le differenze interne sono state avvolte in miti atti ad impedire ai cittadini di cogliere il senso delle trasformazioni politico-economiche implementate da detti oligarchi per il loro tornaconto personale.

Il processo pilotato di «costruzione nazionale» ha mirato a trasformare a fondo la società ucraina in termini ideologici ed istituzionali affinché accettasse un’economia di mercato neoliberista come modalità di produzione e riproduzione sociale. Nella prospettiva di Gramsci, questo processo ha permesso la cooptazione delle nascenti classi dominanti nell’ideologia e nelle strutture neoliberiste (quali il Wef, la Trilaterale, il Bilderberg, ecc.) ed il rafforzamento dell’egemonia del capitalismo transnazionale.

Un elemento chiave del processo è stato un divide et impera interno, basato sull’accentuazione della faglia fra regioni occidentali ed orientali. Questa cesura si è saldata con il gioco delle influenze geopolitiche contrapposte di Russia ed Occidente, che ha esacerbato ulteriormente le divisioni.

L’insurrezione del 2013-2014 non ha minimamente scalfitto la salda presa della cleptocrazia neoliberista sul paese. Il dominio degli oligarchi è paradossalmente sopravvissuto grazie all’intervento russo che ha permesso di obnubilare ulteriormente i cittadini scontenti e spingerli a votare un membro di spicco di questa mafia quale Petro Poroshenko. Il conflitto nel Donbass ha poi costituito una comoda scusa per la mancanza di riforme sociali e l’ulteriore deterioramento delle condizioni di vita di un paese già stremato da un quarto di secolo di sfruttamento imperialista. Nel 2015, il Pil pro capite è sceso al di sotto di 8000 dollari posizionandosi al 113° posto nel mondo, mentre in termini finanziari ha una crescente dipendenza dall’architettura transnazionale gestita dagli Stati Uniti e dai loro vassalli europei.

Ma critiche a Poroshenko e ai suoi complici venivano tacciate di tradimento e supporto della posizione russa. Come contropartita al rafforzamento del dominio cleptocrate, la guerra ha offerto alle masse espropriate il privilegio di ammazzarsi a vicenda nelle trincee del Donbass.

ENTRAMBI GLI SPONSOR esterni, Usa-Ue e Russia, hanno tirato il loro tornaconto da tale situazione e continuato ad alimentare dal canto loro una narrativa volta a rendere sempre più saliente l’immagine delle «due Ucraine». La propaganda del Cremlino ha ingigantito il disagio della minoranza russa per delegittimare il regime di Poroshenko. Quest’ultimo con i suoi sponsor occidentali ha creato l’immagine del nemico in un «altro» russo uguale comunista/sovietico tramite infamie quali le famigerate «leggi sulla decomunistizzazione». Ma, dato che l’Ucraina e la Russia hanno una storia, una cultura ed una lingua condivise, definire l’ucraino come l’insieme di «tutto ciò che non è russo» significa mutilare il senso dell’identità ucraina.