Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato lo stato di emergenza e ha richiamato alle armi i riservisti per rispondere all’ingresso delle truppe russe a Donetsk e Lugansk, le due città che il Cremlino ha riconosciuto come indipendenti. «Il destino dell’Europa si decide nel nostro paese», ha ripetuto con forza Zelensky, assieme al proposito di aderire alla Nato e all’Ue.

AL SUO FIANCO il presidente polacco, Andrzej Duda, e quello lituano, Gitanas Nauseda, che hanno sostenuto la richiesta di Zelensky con una dichiarazione congiunta. Kiev ha inoltre denunciato un «attacco informatico contro numerosi siti governativi». La situazione al fronte, nel Donbass, resta estremamente tesa. E da Washington le autorità ucraine hanno ricevuto l’ennesimo rapporto di intelligence sull’inizio di una grande operazione russa dentro i confini del paese «entro le prossime quarantotto ore».

QUESTI ALLARMI hanno provocato sinora una enorme fuga di capitali dall’Ucraina. «Tre miliardi di dollari al mese», secondo quel che ha riferito alla Rada il portavoce del partito di Zelensky. Con i soldi se ne sono andati anche industriali, deputati e politici locali: rifugiati di lusso di questa crisi. Ma questa volta gli stessi cittadini di Donetsk e Lugansk si aspettano l’arrivo dell’esercito. Con il via libera del Consiglio federale all’impiego delle truppe all’estero, la Russia ha completato tutti i passaggi istituzionali necessari per l’intervento.

Quelli che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha definito «peacekeeper» dovrebbero occupare la linea del fronte. Ma i margini del loro impiego paiono oggi ampi. Così ampi da alzare le tensioni, anziché ridurle. Il presidente americano, Joe Biden, si oppone a questi piani con una serie di sanzioni che limitano l’accesso al mercato globale alle istituzioni finanziarie russe, a partire dal fondo di sviluppo Veb, e colpiscono quelle che lo stesso Biden ha chiamato martedì notte «élite», e quindi il circolo di alti funzionari prossimo a Putin.

FRA LORO GENNADY TIMCHENKO e i fratelli Igor e Boris Rotenberg, tutti banchieri e tutti al centro di provvedimenti analoghi negli anni passato; Aleksander Bortnikov, che siede al vertice dell’Fsb, il servizio di sicurezza federale; Sergey Kirienko, oggi numero due dell’amministrazione presidenziale, ma in passato premier all’epoca di Boris Eltsin e poi a capo dell’agenzia nucleare Rosatom; e infine Petr Fradkov, l’anello di collegamento fra il sistema bancario e gli apparati dell’industria militare. Biden punta, insomma, ai malumori attorno al Cremlino per condizionare Putin. La stessa strategia sta seguendo l’Unione europea. Nella black list finiranno i deputati della Duma che hanno sostenuto la richiesta di riconoscimento delle repubbliche ribelli. Ma il Consiglio è convocato questa sera per una riunione straordinaria, e valuterà altre misure.

C’È, POI, IL CAPITOLO ENERGIA. Gli interessi degli Usa nel settore non sono certo un segreto. Nel suo discorso Biden ha detto di essere al lavoro per bloccare il gasdotto Nord Stream 2, che collega Russia e Germania. È uno dei grandi temi dello scontro diplomatico fra il Cremlino e la Casa Bianca. Oggi l’infrastruttura è completa, ma ferma. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha confermato martedì la sospensione delle licenze necessarie affinché le forniture partano. Ancora non è chiaro se la decisione di Scholz sia definitiva o meno. «Nord Stream 2 non è una conduttura attiva, non c’è gas», ha detto il vicepresidente della Commissione, Mergrethe Vestager: «È stato interrotto un processo di approvazione, ma non ci possono essere effetti sul prezzo del gas». Sul punto è intervenuto ieri anche il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. «La Russia ha usato in modo strumentale il gas», ha detto, «ma ora siamo pronti a interrompere la dipendenza».

INTERROTTI I RAPPORTI con il governo di Kiev, rinviati i vertici con Blinken e Biden, sospesi i contatti con i leader europei, l’unico canale aperto la Russia sembra averlo a questo punto su un piano parallelo a quello diplomatico. L’ambasciatore russo presso la Santa Sede, ed ex ministro della Cultura, Aleksander Avdeev, ha fatto sapere che un incontro fra papa Francesco e il patriarca Kirill è in programma «fra giugno e luglio». Il luogo ancora non è stato scelto. Il primo, storico, abbraccio fra i due è avvenuto a Cuba nel 2016. E ha sicuramente influito sulla politica estera del Cremlino, a due anni di distanza dal rapido processo con cui, nel 2014, era stata annessa la Crimea. «Ho un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione in Ucraina», ha detto ieri Francesco, che ha invitato, poi, a rispettare una giornata di «digiuno per la pace» mercoledì 2 marzo. L’ambasciatore Avdeev è, peraltro, originario di Kremenchuk, sul fiume Dnepr, in Ucraina.

Errata Corrige

L’Ucraina dichiara lo stato di emergenza e denuncia raid informatici ai siti governativi. Usa: «Attacco russo entro 48 ore» ma l’allarme provoca la fuga di capitali da Kiev. Oggi l’Ue in consiglio straordinario. Sull’orlo del precipizio il mondo pacifista si organizza: Cgil, Anpi e altre associazioni invitano alla mobilitazione. Il papa: digiuno per la pace il 2 marzo