Era l’anello debole degli accordi di Minsk, il dubbio che si era insinuato nella testa di tutti i partecipanti al meeting. Putin aveva mandato degli esperti per valutare la situazione, i ribelli avevano già chiarito che non avrebbero mollato la presa, così come l’esercito di Kiev, i cui 6 o forse 8mila uomini risultavano circondati. Debaltseve, cittadina e importante snodo ferroviario, come già altre zone meno conosciute del paese, è diventata punto fondamentale della battaglia in corso. Era Debaltseve l’anello debole del «cessate il fuoco» e a due giorni di distanza da quell’accordo, tale si è dimostrato.

Lì, in quella città – diventata con il passare dei giorni fondamentale per l’equilibrio del conflitto – si è combattuto sempre, anche mentre veniva celebrata la «fragile tregua». E ieri i ribelli hanno annunciato di aver conquistato gran parte della città, risultato ovvio di giorni di assedio, con l’esercito ucraino in difficoltà, chiuso, asseragliato, ma non intenzionato ad accettare la resa.

La straordinarietà di tutto quanto è accaduto in questi ultimi due giorni a Debaltseve, è dovuto al fatto che – in teoria – dal 15 febbraio dovrebbe vigere il «cessate il fuoco», ennesimo abbaglio diplomatico di un conflitto che nessuno sembra avere intenzione di abbandonare con la nomea di «sconfitto».

Eduard Basurin – capo delle milizie del Donbass – ha confermato, a lasciare intendere l’avvenuta conquista di Debaltseve, che i ribelli sarebbero pronti a ritirare le armi pesanti dalla linea del fronte. Secondo quanto riportato dai separatisti, 300 soldati ucraini si sarebbero arresi (e la televisione russa ne avrebbe mostrato alcuni, 72 per la precisione). Circostanze non chiarite dal governo ucraino, che ha negato una resa totale.

A Debaltseve sarebbero ancora in corso «aspri scontri» e «si combatte per ogni quartiere, per ogni strada», secondo quanto dichiarato dal vice capo della polizia regionale di Donetsk (filo-Ucraina) Ilia Kiva ad un canale televisivo ucraino. I ribelli sostengono di aver occupato il comando della polizia locale e la stazione ferroviaria. Il numero dei soldati ucraini presenti nella sacca di Debaltseve dovrebbe essere tra i sei e gli otto mila uomini. «Le nostre truppe stanno tenendo le loro posizioni e sono in diritto di rispondere al fuoco», hanno fatto sapere da sponda ucraina. E nelle scorse ore Kiev ha confermato quanto già evidenziato dai fatti: la pace è lontana, ha specificato Poroshenko, il presidente, mentre i militari hanno chiarito di non avere alcuna intenzione di abbandonare le posizioni e ritirare le armi pesanti. Analogo destino, dunque, è lecito credere sia riservato anche ai battaglioni di volontari e ai tanti mercenari impegnati in entrambi i fronti di battaglia.

In questa situazione si è rimessa in moto la diplomazia: in una telefonata con Vladimir Putin e Petro Poroshenko, Angela Merkel ha rivendicato «la realizzazione degli accordi di Minsk». Lo ha sostenuto il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert, in una nota relativa all’ultima telefonata fra i tre leader. Merkel e Poroshenko, si legge ancora, hanno fatto appello al presidente russo affinché usi la sua influenza per fermare il fuoco dei separatisti.

Al di là di queste richieste, rivolte a Mosca, senza considerare le parole espresse in questi giorni, tutt’altro che pacifiche, di Kiev, un mezzo risultato dall’incontro telefonico è arrivato. I leader di Germania, Ucraina e Russia hanno concordato «passi concreti» per permettere agli osservatori internazionali dell’Osce di monitorare il rispetto del cessate il fuoco in Ucraina orientale. Lo ha reso noto ieri il portavoce del governo tedesco. Merkel, Putin e Poroshenko avrebbero discusso al telefono di come permettere l’invio di osservatori dell’Osce anche Debaltsevo. La telefonata fra i tre leader è avvenuta dopo che il rinvio del previsto ritiro delle armi pesanti, che sarebbe dovuto scattare due giorni dopo l’inizio della tregua, cominciata alla mezzanotte fra sabato e domenica.