Resta profondamente tesa la situazione nell’Ucraina orientale. Giovedì scorso il presidente Volodymyr Zelensky ha visitato le posizioni di prima linea dove sono dislocate le forze di Kiev nel Donbass, per ravvivare il morale dei soldati dopo l’escalation degli ultimi giorni che hanno visto la morte di due soldati ucraini. «Voglio rimanere vicino ai nostri soldati in questo momento difficile: l’Ucraina ha bisogno di pace e farà in modo di raggiungere questo obiettivo», ha dichiarato all’ arrivo in zona.

SIGNIFICATIVO CHE, in contemporanea, si trovasse nell’area anche una delegazione Usa guidata da Brittany Stewart, attaché militare all’ambasciata americana a Kiev, dopo l’ammassamento di truppe russe al confine con l’Ucraina: siti specializzati hanno riportato il dispiegamento di un convoglio di missili Iskander russi nella regione di Voronezh, mentre sui social network vengono caricati sempre più foto e video che mostrano attività di militari e scarico di armamenti e veicoli pesanti. La movimentazione di truppe sul territorio nazionale russo, come ribadito più volte dal Cremlino, è legittima ma una concentrazione tale lungo il confine non si vedeva dal 2015: le tensioni si sono acuite quando Zelensky ha affermato – dopo una telefonata con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg – che la guerra nel Donbass terminerà solo con l’adesione ucraina all’Alleanza, perché «le riforme da sole non fermeranno la Russia».

UN MESSAGGIO non nuovo, ma che ha fatto arrivare velocemente la dura risposta di Mosca. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato poco dopo che l’adesione dell’Ucraina alla Nato «non solo non porterebbe la pace, ma al contrario causerebbe un’escalation su larga scala nel sud-est del paese, e conseguenze irreversibili per la statualità ucraina».

La portavoce della diplomazia russa non ha risparmiato critiche nemmeno a Francia e Germania – impegnate con Mosca e Kiev nel Formato Normandia per la pacificazione del Donbass – che a suo dire «non riescono ad esercitare influenza sull’Ucraina perché rispetti gli accordi di Minsk». Una posizione «non di grande utilità», ha continuato, quella di Berlino e Parigi, da cui nei giorni scorsi sono arrivate anche accuse circa la mobilitazione di truppe lungo il confine con l’Ucraina.

Sempre giovedì scorso, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha invitato l’omologo russo, Vladimir Putin, a ritirare i militari dalla zona durante un colloquio telefonico, per ottenere «un allentamento della situazione». Alla situazione non rimangono indifferenti nemmeno gli Usa, tanto che dal Pentagono sono arrivate voci sul possibile invio di navi da guerra nel Mar Nero nelle prossime settimane, per ribadire il sostegno a Kiev. Gesto che darebbe un segnale a Mosca, e che insieme al dispiegamento di missili russi delinea un quadro preoccupante a cui non si assisteva da anni. Non solo: il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha avuto venerdì telefonate con gli omologhi di Germania e Francia, Heiko Maas e Jean-Yves Le Drian.

AL CENTRO DEI COLLOQUI il nodo Donbass, con tutte le parti che hanno ribadito il «fermo sostegno» all’integrità territoriale ucraina e il sostegmo al paese contro le «azioni aggressive» della Russia. Laconica la replica del viceministro degli Esteri Sergej Rjabkov che ha esortato Washington ad «assumere un atteggiamento più responsabile e non intensificare le tensioni». Ma sull’influenza esterna Usa, ha affermato invece il vice capo dell’amministrazione presidenziale Dmitrij Kozak, «non esagererei molto», perché ritiene «improbabile» che gli Usa vogliano spingere l’Ucraina ad un conflitto con la Russia, affermando che «le prossime mosse dipenderanno dagli interessi geopolitici perseguiti dagli Stati Uniti».