Seconda giornata di visita per John Bolton, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa bianca, ieri a Kiev. Nelle prime 24 ore il diplomatico americano ha incontrato il presidente Volodomyr Zelensky e tutto lo staff dello Stato maggiore del Tridente con lo scopo dichiarato di impedire la vendita del gigante ucraino nella produzione di motori per velivoli civili e militari oltre che di turbine a gas industriali Motor Sich alla società d’investimento cinese Skyrizon. Fino al 2014 la Motor Sich lavorava prevalentemente sul mercato russo e si trova in cattive acque avendo chiuso lo scorso il bilancio con oltre 100 milioni di dollari di passivo.

Nel colloquio, secondo il giornale ucraino Strana Bolton avrebbe chiesto non solo la cancellazione della transazione, ma «la nazionalizzazione dell’impresa». Un gioco a carte truccate in cui la Difesa Usa vuole congelare l’assetto proprietario di Motor Tech, ma senza rilevarla. Bolton al termine dei colloqui, in conferenza stampa, ha dichiarato «di essere soddisfatto degli incontri con i colleghi ucraini in cui è stata confermata la visione comune sulla sicurezza dell’Ucraina e le minacce di sfruttamento economico da parte della Cina».

BOLTON NON HA NASCOSTO che la sfida tecnologica e quella militare sarebbe l’altro lato della medaglia dello scontro con la Cina sui dazi. La vendita di Motor Sich per il governo americano «metterebbe a repentaglio la sicurezza e la sovranità» del paese slavo perché inevitabilmente l’azienda cinese una volta messe le mani sulla fabbrica non solo accrescerebbe il suo potenziale bellico ma tornerebbe a vendere anche alla Difesa russa. Bolton ha accusato inoltre apertamente Pechino di aver rubato agli Stati uniti il progetto per il nuovo caccia di quinta generazione. «Il nuovo caccia cinese sembra molto simile all’F-35 perché è un F-35, ce lo hanno rubato» ha tuonato Bolton.

Zelensky da parte sua ha preferito il riserbo sull’esito dei colloqui. E ha i sui motivi per restare guardingo: la Cina è diventata quest’anno il primo importatore mondiale di mais ucraino e ha capitali freschi per aiutare a risollevare la disastrata economia del paese. Con l’amministrazione americana i motivi di frizione nei suoi primi 100 giorni di presidenza non sono mancati. Anzi Zelensky temeva, come poi è stato, che l’emissario di Trump dedicasse il suo secondo giorno di visita nella capitale ucraina per controllare dappresso la formazione del suo nuovo governo, che alla Casa bianca sospettano sia «un covo di filo-democratici» come aveva denunciato qualche mese fa un altro dei collaboratori più stretti di Trump, Rudolph Giuliani. Anche perché la lingua a stelle-e-striscie è sempre un po’ biforcuta: proprio mentre Bolton riempiva Zelensky di parole mielose sostenendo di aver avuto «un’impressione meravigliosa del nuovo presidente», Donald Trump affermava perentoriamente dall’altra parte dell’Oceano di voler tagliare i 250 milioni di dollari già previsti in bilancio per la difesa ucraina. Il presidente ucraino si rende conto di essere finito in un gioco più grande di lui il cui il suo Stato rischia solo di essere una pedina.

IN REALTÀ WASHINGTON non vuole restare fuori neppure dalla trattativa sulla pace del Donbass, che sembra stia spiccando il volo. Nelle prossime ore potrebbe andare a buon fine lo scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina e per il 2 settembre è previsto, dopo mesi di stallo, un nuovo incontro del Formato Normandia – il gruppo di contatto per implementare gli accordi di pace di Minsk – in cui Putin, Merkel, Macron e lo stesso Zelensky si ritroveranno intorno a un tavolo per cercare la quadra, soprattutto per quanto riguarda amnistia per i combattenti delle repubbliche ribelli e la tanto sospirata autonomia per la regione.

Per questo Bolton si è fatto latore di una richiesta urgente da parte di Trump d’incontro con Zelensky proprio per il 1 settembre a Varsavia.