«Nel quartiere operaio Oktyabrskoy è morta a seguito di un bombardamento la signora Lyubov Litvyakova, classe 1951 e due asili il n.229 e il n.269 sono stati danneggiati» (messaggio di un cittadino di Donetsk del 20 luglio 2019). Poco prima che si aprissero i seggi in Ucraina per le legislative ed entrasse in vigore l’ennesimo cessate il fuoco, il grido di dolore che arriva dal Donbass ci ricorda come a 50 anni dallo sbarco sulla Luna, gli uomini, nella civile Europa, continuino a risolvere divergenze politiche e territoriali come nella preistoria.

LA QUESTIONE DELLA PACE nelle regioni sud-orientali dell’Ucraina è rimasta al centro della campagna elettorale di Volodomyr Zelensky. Il neo-presidente riesce ancora a restare in «connessione sentimentale» con il suo popolo su questo tema: secondo un sondaggio curato dalla Sozis, il 62% degli ucraini ritengono il problema del conflitto nelle zone orientali del paese la questione più urgente da affrontare seguita da quella dei bassi salari e pensioni con il 56,8%.

A questo fine Zelensky si è dato molto da fare, spesso in modo confuso. Ha promosso il ritiro delle sue truppe dalle «zone grigie» del fronte di Lugansk (mentre intorno a Donetsk si è continuato a sparare senza posa), favorito il cessate il fuoco e lo scambio dei prigionieri che dovrebbero entrare in vigore oggi e persino la fine del blocco economico tra «repubbliche popolari» e Ucraina.

Ma sul terreno della diplomazia internazionale ha mostrato tutta la sua inesperienza. La proposta di una trattativa globale a cui prendessero parte oltre che se stesso e Putin anche Trump, Macron, Merkel e Theresa May è stata un flop: è noto che Merkel vorrebbe tenere fuori gli Usa dalla trattativa e Putin ha avuto facile gioco a segnalare che la premier britannica è politicamente un morto che cammina, con più di un piede fuori dalla Ue. La stessa telefonata con Putin la scorsa settimana non è stata foriera di passi avanti ulteriori visto che il presidente russo vorrebbe vedere nel dettaglio cosa significa per Zelensky «l’autonomia» per il Donbass prospettata dagli accordi di Minsk.

C’È POI IL TEMA della tragica situazione sociale ed economica del paese che tutti i partiti hanno evitato accuratamente di affrontare. Dopo il voto, il Fmi dovrà decidere se fornire un’ulteriore tranche di prestiti all’Ucraina. I funzionari di New York hanno già però messo in chiaro che non garantiranno più prestiti a pioggia come nello scorso quinquennio e pretendono una forte riduzione del personale della pubblica amministrazione, l’introduzione di tariffe di mercato per i servizi sociali e la riduzione del tasso di corruzione.
Zelensky sembra puntare molto sulla crescita degli investimenti stranieri. Due giorni prima del voto si è appellato agli imprenditori di tutto il mondo perché portino i loro soldi a Kiev, promettendo forza-lavoro a basso costo e sfruttamento illimitato delle risorse del paese. Per il momento ha risposto la Cina: secondo Kiyv Post, Pechino sarebbe pronta a investire 10 miliardi di dollari nell’agricoltura, nelle infrastrutture e nei servizi finanziari del paese slavo.

I SONDAGGI danno Servire il Popolo largamente avanti su tutti i concorrenti con una forchetta di gradimento tra il 41% e il 49%. L’ampiezza dell’oscillazione è causato dalle incertezze sulla partecipazione dei giovani al voto che avevano assicurato il suo trionfo il 21 aprile nel ballottaggio presidenziale. Forbice di previsione assai ampia (11-18%) anche per la Piattaforma dell’opposizione di Yuri Boyko a cui si è associato recentemente anche il braccio destro dell’ex presidente Leonid Kuchma, Viktor Mednecyuk.

Il Blocco, erede del Partito delle regioni di Viktor Yanukovich, ha radicalizzato recentemente ancor più le sue posizioni filo-russe e cercherà di fare il pieno di voti nelle regioni dell’est: trattativa su Donbass che escluda le potenze occidentali, no a Nato e Ue, negoziati con la Russia per un Piano Marshall per salvare l’economia ucraina, sono stati i punti salienti della campagna di questo partito. Arranca invece la lista di Poroshenko (data all’11%) e Patria della “pasionaria” arancione Yulya Timoshenko (7%). Battiquorum invece per l’ultra-atlantico partito Voce guidato dal cantante Svyatoslav Vakarchuk che non sa ancora se supererà lo sbarramento del 5%.

LA VERA SFIDA DI ZELENSKY è in realtà con se stesso. All’apertura dei seggi non è chiaro se riuscirà a conquistare la maggioranza alla Rada visto che la metà dei deputati verrà eletta in collegi uninominali. Se il presidente ucraino dovesse non raggiungere il 50%+1 dei deputati e fosse costretto a una coalizione con Poroshenko o Tymoshenko, la prospettiva della pace del Donbass tornerebbe in alto mare e il governo sarebbe costretto a una defatigante mediazione parlamentare.