Ancora tiri delle artiglierie di grosso calibro su Donetsk, mentre si fanno più insistenti le voci di un prossimo attacco ucraino alla città. D’altronde, lo scenario è stato previsto da più parti: Poroshenko avrebbe attaccato il Donbass o a ridosso delle elezioni del 26 ottobre oppure un paio di settimane dopo, forte del successo elettorale da tutti pronosticatogli.

È in questo quadro che l’Ucraina si prepara alle elezioni di domani per il rinnovo della Rada; elezioni definite dalla portavoce del Dipartimento di Stato americano Jen Psaki una «pietra miliare». Ma il voto cambierà poco o nulla: saranno eletti gli attuali rappresentanti governativi, gli oligarchi, i nazionalisti, qualche leader dei battaglioni fascisti. Un voto che si tiene in una situazione di economia in caduta (la produzione industriale ad agosto era scesa del 21,4% rispetto a un anno fa) e di «default tecnico», quando il pagamento del debito si effettua mediante nuovi crediti esteri – e se il Fmi rifiuterà di accordarne, lo Stato dovrà dichiarare bancarotta – con oltre 6 milioni di disoccupati.

E, nelle regioni di Donetsk e Lugansk si voterà solo nelle zone controllate dai governativi (l’Ue ha già detto che non riconoscerà le elezioni che le due repubbliche popolari terranno a inizio novembre). Il tutto, condito con la riorganizzazione di alcuni battaglioni neofascisti che, dimostrando (per ora) la propria lealtà a Poroshenko, attendono di fare i conti alla maniera del più forte. Se sembra improponibile una replica della «notte dei lunghi coltelli» da parte di Poroshenko, non è da escludersi un tentativo di rivincita degli ultranazionalisti su un presidente considerato troppo accomodante con Mosca.

E potrebbe non mancare loro nemmeno un appoggio esterno: tutta la vicenda dalla Majdan in poi ha rappresentato un tentativo riuscito non di unire l’Ucraina all’Europa, ma di separarla dalla Russia e creare alle frontiere di quest’ultima un’ulteriore area di instabilità.

Ma non l’unica: l’attenzione è rivolta anche al quadrante baltico quale prossimo focolaio di crisi teso ad arginare una Russia, che il Segretario della Difesa Usa Chuck Hagel ha detto «volersi pericolosamente avvicinare alle frontiere della pacifica Alleanza atlantica». Ha risposto ieri Vladimir Putin dichiarando che gli Usa, che si considerano i vincitori della guerra fredda, si sono messi a »combinarne di tutti i colori» sulla scena internazionale: «Così si comportano i nuovi ricchi, che si sono trovati sommersi dall’enorme ricchezza della leadership mondiale».
Aleksej Fenenko, docente di politica mondiale all’Università di Mosca, ritiene che Washington cercherà a breve di controbilanciare i successi della politica russa nel mar Nero «provocando una pericolosa crisi con la Russia». Dove? Nel mar Baltico aveva detto Fenenko a Ria Novosti appena pochi giorni prima dell’apertura della nuova battuta di caccia al sommergibile, per definizione russo, nelle acque svedesi. Una battuta durata una settimana e che ieri Stoccolma ha dichiarato ufficialmente chiusa con un nulla di fatto (Mosca aveva da subito suggerito la possibile nazionalità olandese del vascello) ma che è però bastata alla Lituania per gettarvisi a capofitto e rispondere alle «provocazioni» nel Baltico in cui «può essere implicata la Russia».

In relazione alle ricerche del mitico sottomarino, il primo ministro di Vilnius Algirdas Butkevicius ha ordinato il rafforzamento della sorveglianza sulle frontiere con Russia e Bielorussia. Imitato dalla Polonia.
In ogni caso, anche lo scacchiere meridionale di «pericolosa vicinanza» russa alla Nato non rimane privo di attenzione. Negli ultimi mesi si sono ripetute le prese di posizione europee e americane su un prossimo ingresso nell’Alleanza atlantica della Georgia, la cui richiesta di adesione era finora rimasta inevasa.

Di fronte alle notizie di un possibile accordo tra Russia e Abkhazia per la creazione di un raggruppamento unico di forze «per la difesa comune delle frontiere abkhaze», la Georgia ha convocato, per il prossimo 28 ottobre, la riunione urgente del Consiglio di sicurezza. Da parte sua, il Ministro della difesa di Tbilisi, Iraklij Alasanija, ha dichiarato che, insieme alla stesura di un «piano d’azione per la collaborazione con la Russia», il governo dà il via a «passi oltremodo aggressivi – nel senso di una politica di anticipazione attiva – di politica estera».