Yasin Bulut è stato ucciso ieri con quattro colpi di pistola alle 9 del mattino mentre camminava verso un ospedale di Suleymaniya (Kurdistan iracheno). Per strada, in pieno giorno. Membro del Comitato per le famiglie dei martiri del Pkk, noto anche come Sukru Serhat, Bulut era originario della provincia turca di Kars.

Era entrato nel Partito curdo dei Lavoratori poco dopo la fondazione, nel 1978. Imprigionato dalla Turchia nel 1980 nel famigerato carcere di Diyarbakir, era stato rilasciato 11 anni dopo. Si trovava nella città curdo-irachena per trattamenti medici. Subito dopo la sua uccisione, la bara è stata accompagnata dai compagni tra la bandiere del Pkk e quelle con il volto del leader Ocalan.

Sarà sepolto a Qandil, dove ha trascorso gli ultimi trent’anni e dove la leadership del partito ha la sua roccaforte, da anni sottoposta a duri attacchi aerei da parte della Turchia. Che fin da subito è finita in testa alla lista dei sospettati, con il Mit (i servizi segreti) accusato di aver organizzato l’operazione, così come l’assassinio il giorno precedente del 33enne Ferhat Baris Kondu, anche lui colpito nel Kurdistan iracheno dove si era rifugiato per motivi politici.

«Questi due incidenti – scrive in una nota il Pkk, chiedendo l’intervento delle autorità di Erbil – dimostrano che il fascista Erdogan e il Mit hanno iniziato una serie di omicidi politici. Se le forze turche possono facilmente compiere massacri in ogni parte del Kurdistan, tutti i curdi dovrebbero prendere una posizione comune e misure immediate».