«Sunniti liberi del Battaglione di Baalbek»: un’oscura sigla jihadista ha rivendicato l’assassinio, martedì notte a Beirut, di un importante comandante militare di Hezbollah, Hassan Laqqis, freddato mentre rientrava a casa ad Hadath, a 7 km dalla capitale. Il movimento sciita libanese in un comunicato ha subito puntato l’indice contro Israele che avrebbe in passato tentato varie volte di eliminare Laqqis. Tel Aviv ha smentito il suo coinvolgimento. In ogni caso in Libano la pista indicata un po’ da tutti è quella che porta in Arabia saudita, alla guerra a distanza che le rivali Riyadh e Tehran e i rispettivi alleati, combattono nell’area.

L’assassinio di Laqqis è giunto poche ore dopo l’accusa lanciata dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, all’Arabia Saudita che, a suo dire, sarebbe dietro il duplice attentato all’ambasciata iraniana a Beirut, del 19 novembre, con 25 persone uccise ecirca 150 ferite. Un’azione suicida che hanno rivendicato i jihadisti delle «Brigate Abdullah Azzam» alleati delle formazioni armate sunnite che combattono contro il governo di Damasco. La scorsa estate altri due attentati – il 9 luglio a Bir el Abed e il 15 agosto a Rweiss – avevano colpito la periferia sud di Beirut, roccaforte di Hezbollah, in apparente risposta all’invio a Damasco di migliaia di combattenti sciiti in appoggio all’esercito siriano. Lo stesso Laqqis aveva preso parte ai combattimenti in Siria. «Le “Brigate Abdullah Azzam” è solo un nome di comodo», ha detto Nasrallah in un’intervista ad una tv libanese, «sappiamo che questa formazione è in realtà legata all’intelligence saudita …l’Arabia Saudita appoggia questo tipo di gruppi in diversi luoghi del mondo». Il comandante militare sciita è stato colpito alla testa con una pistola mentre era alla guida di un’auto. Un filmato dell’accaduto trasmesso dalla tv Al Manar di Hezbollah ha mostrato due fori di proiettile in un muro e impronte fangose, tracce che fanno pensare a più di un aggressore. Laqqis, sepolto a Baalbek dopo funerali con migliaia di persone, era uno dei capi della «resistenza islamica» e faceva parte di Hezbollah fin dai suoi primi giorni, negli anni Ottanta, quando il movimento fu creato con il sostegno iraniano per combattere le truppe israeliane che occupavano il sud del Libano. Il figlio di Laqqis è stato ucciso nel 2006, nell’offensiva, prima solo aerea e poi anche terrestre, lanciata da Israele contro Hezbollah.

L’eliminazione di Laqqis è un colpo duro per Hezbollah che negli ultimi mesi ha scoperto di non essere impenetrabile alle azioni di intelligence dei suoi nemici israeliani ed arabi. Questi ultimi intendono fargli pagare la decisione di combattere in Siria accanto alle truppe agli ordini del presidente Bashar Assad. Sul Libano preme la minaccia di un contagio della guerra civile siriana già in corso, peraltro, a Tripoli, nel nord del Paese, dove da oltre due anni si combattono i salafiti sunniti di Bab al Tabbaneh e gli alawiti (sciiti) di Jabal Mohsen. Un conflitto parallelo a quello siriano che in questi ultimi giorni ha fatto oltre 12 morti e 80 feriti dopo che Jabal Mohsen si è riempito di bandiere siriane in risposta ai sunniti che avevano issato le insegne dei jihadisti siriani. Una guerra di simboli sfociata nell’impiego di cecchini e armi pesanti. La tensione a Tripoli cresceanche per l’inchiesta sul Partito democratico arabo, guidato da Ali Eid, leader della comunità alawita per i due attentati del 23 agosto presso le moschee sunnite di al Taqwa e di Salam con 42 morti e 500 feriti. Ed è di qualche giorno fa la notizia della (presunta) intenzione dell’ex capo dell’intelligence interna, Ashraf Rifi, di formare una milizia a difesa dei sunniti, finanziata dai sauditi.