Due coloni israeliani e tre palestinesi sono stati uccisi ieri, nel giro di poche ore, nel governatorato di Hebron, sempre più l’area di maggior tensione della nuova Intifada. Ad uccidere i due israeliani – i nomi ieri sera non erano ancora noti, si sapeva solo che erano padre e figlio e avevano 40 e 18 anni – sono state le raffiche sparate da due palestinesi contro la loro automobile nei pressi della colonia ebraica di Othniel, a sud di Hebron. A bordo dell’auto si trovavano altre cinque persone. Di queste sono rimaste ferite la madre e un altro figlio 16enne, illese tre figlie. Un’attacco simile a quello della fine di settembre in cui, vicino a Nablus, altri due coloni, una coppia, furono uccisi da una cellula armata individuata dopo qualche giorno dai servizi segreti israeliani. L’esercito ieri sera era impegnato in una massiccia caccia all’uomo nei villaggi palestinesi di al-Samua, Yatta e Dhahiriyya. Sono state effettuate perquisizioni e controlli in diverse case e grotte e i soldati non hanno usato i guanti di velluto.

 

In questa area della Cisgiordania meridionale gli abitanti palestinesi, spesso pastori, vivono in condizioni difficili, certo non per la povertà e la mancanza di servizi. Sono circondati da numerose colonie israeliane e da alcuni campi militari. Pagano caro il fatto di trovarsi nella “zona C”, ancora sotto il controllo di Israele. Qui è situato il poligono di tiro 918 che preme su otto piccoli villaggi palestinesi, da anni a rischio di demolizione. Qui si trova anche Tuwane, un minuscolo centro abitato che denuncia intimidazioni continue da parte dei coloni insediati a poca distanza. Volontari internazionali e, in certi periodi, lo stesso esercito israeliano, devono scortare i bambini di Tuwane a scuola per prevenire problemi con i coloni.

 

«Arriveremo agli spregevoli assassini e li processeremo senza clemenza, così come abbiamo fatto in passato…Continueremo a combattere il terrorismo ovunque ciò si renda necessario», ha avvertito il premier israeliano Netanyahu che però è stato sommerso dalle accuse di «incapacità» da parte della destra più estrema e dai coloni che vorrebbero contro i palestinesi misure persino più pesanti di quelle in vigore. Nessun gruppo armato ha rivendicato l’agguato. Il movimento islamico Hamas l’ha comunque definito «uno sviluppo di qualità della ‘Intifada al-Quds’ (Gerusalemme)».

 

Il pugno duro è già in atto. I soldati israeliani ieri hanno ucciso altri due palestinesi durante manifestazioni di protesta. Il primo ad Halhul (Hebron), Hassan al Baw, è stato colpito da un proiettile all’addome ed è morto poco dopo. A Budrus, ovest di Ramallah, è stato ferito mortalmente Lufi Awad, parente di Samir Awad il ragazzo ucciso tre anni fa vicino al Muro dai militari dello Stato ebraico con modalità che non pochi definirono una esecuzione sommaria a tutti gli effetti. Di questa vicenda si è riparlato nei giorni scorsi per la decisione dei giudici israeliani di rinviare a giudizio i soldati coinvolti. Solo per negligenza però e non per omicidio volontario come chiedevano i legali della famiglia e il centro per i diritti umani Btselem. Ieri all’alba si è spento in ospedale Issa Shahalda. Era stato ferito dai soldati durante le proteste divampate a Sair giovedì pomeriggio dopo i funerali di Abdallah Shahalda, il 28enne palestinese ucciso da un’unità speciale israeliana entrata nell’ospedale al Ahli di Hebron. Abdallah Shahalda è stato abbattuto da cinque colpi mentre con la sua famiglia faceva visita al cugino ricercato per il ferimento di una guardia di sicurezza. L’agenzia Maan ieri riferiva che oltre ai tre uccisi ci sono stati anche 94 palestinesi feriti da proiettili veri o rivestiti di gomma. Una trentina di questi a Balou, a nord est di Ramallah, nei pressi del posto di blocco israeliano di Bet El.

 

Proseguono anche gli arresti di palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Decine ogni settimana. Ieri però hanno riguardato anche quattro cittadini stranieri a Bilin, villaggio dove da anni la popolazione manifesta contro il Muro. Tra i quattro c’è l’italiano Antonio Fresta, un fotografo. Le immagini e un video postato in rete dall’International solidarity movement (Ism) raccontano di un arresto violento, con Fresta che è stato immobilizzato faccia a terra da quattro-cinque soldati insieme, che non hanno esitato a spruzzargli sugli occhi uno spray al peperoncino senza apparente motivo. Il fotografo, mentre veniva ammanettato, ha ripetuto invano di essere un cittadino italiano. I militari lo hanno portato alla stazione di polizia di Shaar Benyamin dove ieri sera doveva essere interrogato. È molto probabile che Fresta, dopo una breve detenzione e un processo, venga deportato e rimandato in Italia.