Kabul e Bagram, un’offensiva in grande stile nella provincia meridionale dell’Helmand, una presenza ingombrante nel resto del paese.

I Talebani fanno sul serio. Lo riconosce anche il Pentagono: su “Enhancing Security and Stability in Afghanistan”, un rapporto per il Congresso degli Usa pubblicato pochi giorni fa, si parla di «sicurezza deteriorata» e di un aumento significativo degli attacchi degli insorti nel 2015. Recentemente, i più significativi sono avvenuti a Bagram e nella provincia dell’Helmand. Lunedì scorso un convoglio di militari afghani e statunitensi è stato colpito da un attentatore suicida a bordo di una motocicletta non lontano dalla base aera di Bagram. 40 km a nord di Kabul, la base rappresenta il principale snodo logistico per le truppe statunitensi, insieme a quella di Kandahar, assediata dai Talebani l’8 dicembre.

Oggi Bagram ospita 13.500 funzionari della sicurezza, di cui una buona parte (8.500) personale civile e contractors che fanno capo al dipartimento della Difesa degli Usa. Il segretario alla Difesa Ashton B. Carter ha confermato che i sei militari rimasti uccisi sono americani. Per i Talebani, è «un regalo di Natale», per gli statunitensi è la perdita più ingente da quando, alla fine del 2014, si è conclusa formalmente la missione militare.

Nell’Helmand l’offensiva talebana va avanti da mesi. In questi giorni si combatte per il distretto e per la città di Sangin, dove sono tornati a operare – Londra dice con un ruolo di «consulenza» – anche le forze speciali inglesi, che in quest’area hanno combattuto per 13 anni, subendo perdite significative, prima di ritirarsi nell’ottobre del 2014. Da Sangin ieri arrivavano notizie contrastanti. Per il governatore della provincia, Mirza Khan Rahimi, la città era in mano alle forze governative. Per il suo vice, i Talebani l’avevano conquistata.

La conquista di Sangin fa parte di un’articolata operazione militare degli “studenti coranici”. Ne mostra la forza, ma nasce da un dissidio interno. Il 29 luglio le autorità di Kabul hanno reso nota la notizia della morte del mullah Omar, il leader elusivo che sin dalla fondazione del gruppo, nel 1994, ha tenuto insieme una galassia eterogenea. La nomina del successore, Akhtar Mohammed Mansour, già a capo della Rahbari Shura, il massimo organo di rappresentanza dei barbuti, non è piaciuta a tutti. Mullah Mohammed Rasul ha fondato un gruppo antagonista, l’Alto consiglio dell’emirato islamico d’Afghanistan, ma non sembra impensierire il nuovo leader. Che invece guarda con preoccupazione alla fazione di Abdul Qayyum Zakir. A capo della più importante Commissione dei Talebani, quella militare, Zakir ne è stato estromesso da Mansour due volte, nell’aprile 2014 e poi nel luglio 2015, dopo che era stato reinsediato nel febbraio 2015.

Dalla metà del 2014 i militanti riconducibili a Zakir hanno condotto un’aggressiva offensiva nell’Helmand. La conquista di molti distretti dell’Helmand è frutto dell’antagonismo tra due pezzi da novanta: Mansour, il nuovo leader, non può permettere che l’eventuale vittoria venga attribuita allo storico rivale. Per ora sono su posizioni diverse, anche sul negoziato di pace, su cui Mansour vorrebbe tornare a insistere, dopo aver consolidato la propria leadership. Se decidesse di farlo prima, rischierebbe di frammentare ulteriormente il movimento.

Ad avvantaggiarsene sarebbero soprattutto gli uomini della wilayat (provincia) del “Khorasan” dello Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. A guidare il gruppo c’è Hafiz Saeed Khan, già emiro dei Talebani pachistani (Ttp) per la regione dell’Orakzai. Hafiz Saeed Khan ha puntato strategicamente alle province afghane al confine con il Pakistan, lì dove è più diffuso l’Islam salafita, alieno ai Talebani, di scuola deobandi. In particolare, alla provincia di Nangarhar, dove dispone di campi di addestramento e dove si sono verificati gli scontri più feroci con i Talebani, antagonisti del Califfo.

Pochi giorni fa, nella provincia ha cominciato a operare “Radio Califfato”, che mira a reclutare e convincere gli indecisi. Per i Talebani, la radio sarebbe ospitata nella base aerea controllata dagli americani di Jalalabad, e lo spauracchio del Califfo una scusa per prolungare l’occupazione militare dell’Afghanistan.