Aveva denunciato il marito dodici volte. Era stata dai carabinieri, la Procura di Caltagirone aveva aperto un fascicolo senza però adottare misure restrittive nei confronti di quell’uomo violento, con problemi di droga, che non dava tregua a quella povera donna che non sapeva più a chi rivolgersi. Botte, minacce continue. Per Marianna Manduca era un inferno, aveva paura per sé e per i suoi tre bambini, il più piccolo aveva 3 anni.

Quando il marito le mostrò persino il coltello con cui l’avrebbe ammazzata, capì che il suo destino era segnato. Quello Stato al quale si era rivolta per avere protezione non c’era. Non faceva nulla per salvarla da quella violenza insopportabile. Era ottobre di dieci anni fa quando Marianna viene accoltellata a morte con quella lama che il marito le aveva mostrato, portando a termine il suo progetto femminicida. Ora il Tribunale civile di Messina ha condannato la Presidenza del consiglio dei ministri a risarcire 300 mila euro di danni patrimoniali ai tre figli della donna. Dopo una lunga e complessa battaglia legale, i giudici hanno applicato la norma sulla responsabilità civile dei magistrati, ritenendo che i pm che si occuparono del caso non fecero quanto in loro potere per evitare il femminicidio. L’importo è stato calcolato sulla base dei guadagni che percepiva Marianna, per il lavoro che svolgeva prima di essere assassinata. Poco dopo il delitto il marito, Saverio Nolfo, fu arrestato. Sta scontando in carcere 20 anni, pena inflitta con l’abbreviato. Tra dieci anni o poco meno uscirà di prigione. I tre bambini, ora adolescenti, furono adottati da un cugino della vittima, Carmelo Calì, che viveva a Senigallia, nelle Marche, con la moglie e tre figli.

L’uomo, che non aveva mai conosciuto i tre figli della cugina uccisa, decise di adottarli per sottrarli alla casa famiglia dove stavano per essere assegnati. «E’ stata una battaglia dura, ma alla fine abbiamo ottenuto giustizia – commenta il padre adottivo – con questi soldi del risarcimento sono sicuro riusciremo a fare crescere con più serenità i tre ragazzi». L’uomo parla «di sentenza importante per tutti quelli che si sentono danneggiati da un errore dei magistrati». «Io quando mia cugina è morta ho richiesto di adottare questi ragazzi perché erano rimasti senza punti di riferimento, ma era giusto avere anche giustizia per la morte della mia povera cugina che era stata maltrattata dal marito in vita ma anche dallo Stato, che non è mai intervenuto», osserva con amarezza. Non è stato facile crescere i tre ragazzi. «Ho delle difficoltà economiche perché con mia moglie avevamo già altri tre figli ed è difficile al giorno d’oggi portare avanti una famiglia numerosa, ora dopo la sentenza sarà più semplice», aggiunge.

Anche l’avvocato Licia D’Amico, che ha difeso gli interessi dei tre ragazzi parla di «sentenza importante». «La presidenza del Cdm è stata condannata al risarcimento in applicazione della legge sulla responsabilità civile dei magistrati – afferma – Se vorrà potrà rivalersi sui pm». Uno dei due magistrati chiamati in causa dai giudici di Messina ormai è in pensione, la collega che collaborò al caso invece lavora in un altro Tribunale. I legali però sollevano un vulnus della legge. Avevano chiesto anche il risarcimento per danno non patrimoniale, pari a un milione e mezzo di euro. «Non ci è stato concesso perché la norma lo prevede solo in casi di privazione della libertà e la vicenda in questione non rientra in questa categoria – spiega l’avvocato D’Amico – Il tribunale correttamente ha applicato la legge, ma a nostro avviso bisogna riformarla perché è evidente che i tre bambini abbiano subito la privazione del concetto di libertà, perché orfani di madre e col padre in galera».