A Genova, a Viterbo e a Brescia, questa settimana, tre donne sono state uccise a coltellate dai loro compagni per motivi di gelosia. In provincia di Napoli un uomo ha preso a martellate la moglie mentre dormiva: l’ha colpita alla testa, tenendola per il collo, e l’ha ridotta in fin di vita.

Intervistata da «Il Mattino» un’esperta mediatica di psicologia forense ha attribuito la violenza maschile a stereotipi culturali trasversali che assegnano alla donna una posizione di sottomissione. Ha parlato di crimini d’odio senza amore commessi da individui emotivamente fragili e assetati di potere che agiscono in modo lucido sotto l’effetto di una gelosia possessiva che gli spinge a controllare e dominare ossessivamente la vita della partner.

Queste opinioni sono largamente condivise da chi lavora nel campo. Secondo la docente di Psicologia Sociale a Caserta, il femminicidio è compiuto da chi considera la donna come oggetto di sua proprietà: «da una parte rabbia e rancore ma dall’altra un possesso totale con cui, io uomo, attraverso l’omicidio sancisco per sempre che ho potere sulla tua vita, togliendotela». Per il responsabile del Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti di Firenze «la violenza è una scelta».

Non è chiaro cosa si intende come “scelta” nella disumanizzazione dei propri sentimenti che produce una catastrofica distruzione dell’oggetto del desiderio. Più la violenza si diffonde più gli esperti ricorrono, per spiegare l’agire degli assassini, a stereotipi interpretativi generici. Negli uomini che uccidono le donne la violenza è direttamente proporzionale alla loro vulnerabilità psichica, a un senso profondo di impotenza che accompagna i loro sentimenti d’amore che per questo rigettano. La subalternità femminile, che non è un dato culturale ma un derivato dei rapporti di potere sociali duro da sconfiggere, finisce per esaltare la loro difficoltà di sentirsi capaci di una vera presa sulla donna che vorrebbero amare. La percezione della propria posizione nel campo erotico assegna loro un ruolo capovolto rispetto al privilegio sociale di cui dispongono: si sentono nelle mani della donna (che non pensano di poter coinvolgere), in preda al suo capriccio che li domina. Il movimento di emancipazione femminile li frastorna, aumentando l’incertezza del loro senso di identità già precario. Il fatto che il riequilibrio, stentato in realtà, dei rapporti di forza tra i due sessi tende a privilegiare modelli unisex, indifferenzianti, rende la loro confusione più devastante.

Freud spiegava il delirio di gelosia dell’uomo nei confronti della donna con la negazione di un amore omosessuale per il presunto rivale: «Non amo lui, è lei che l’ama». L’uomo non può fidarsi del suo amore per la donna se reprime la presenza dentro di lui di un desiderio femminile rivolto all’uomo che gli fa (o potrebbe fargli) concorrenza (a partire dal padre). Questo desiderio gli dà l’intima conoscenza del proprio valore come oggetto desiderato dall’amata e gli consente di identificarsi con lei per capire le sue esigenze. La vulnerabilità sociale della posizione femminile nell’uomo (spinto nella posizione di un’eccitazione/erezione autoreferenziale), indebolisce l’efficacia della sua offerta amorosa e lo porta a proiettare sulla donna la capacità di amare. La superiorità, reale o immaginaria, della donna nel campo dell’amore che così si determina crea nell’uomo invidia e rancore ma non è per questo che lui la può uccidere. Nei casi estremi di fragilità maschile uccidere la donna significa uccidere la propria tentazione di amarla vissuta come cadere senza difese nel suo dominio.