Bloccata in Europa dai tribunali che vietano i servizi che permettono a chiunque di usare l’auto diventando tassisti; in conflitto permanente con le principali città europee, a cominciare da Londra, che intendono regolarne il traffico e gli algoritmi, Uber potrebbe fare la mossa del cavallo e acquisire il gigante delle consegne a domicilio via piattaforma digitale: Deliveroo, valutata 2 miliardi di euro. L’indiscrezione è di Bloomberg e non è stata commentata dai vertici delle due aziende. Non è nemmeno escluso che le trattative possano interrompersi perché Deliveroo e i suoi investitori tengono alla loro indipendenza.

L’acquisizione segnerebbe una discontinuità nel mondo del capitalismo delle piattaforme: Uber, già presente nel settore del food delivery con il marchio UberEats, intende dominare il business delle consegne alimentari in Europa. Il servizio è disponibile in più di 200 città, non solo in Europa ma anche in altri tre continenti. Dal punto di vista dei diritti dei lavoratori il moloch Uber+Deliveroo creerebbe una potenza interessata a negare la subordinazione di fatto del lavoro e la sua ulteriore precarizzazione. Entrambe le aziende oggi sono protagoniste – in Europa e negli Stati Uniti – di conflitti giudiziari che, in alcuni casi, sono arrivati anche davanti alla giustizia europea.

La strategia del nuovo amministratore delegato di Uber Dara Khosrowshahi, subentrato al co-fondatore dell’azienda Travis Kalanick distintosi tra l’altro per una terribile litigata sui magri compensi dei lavoratori con un autista Uber che ha spopolato sui social network, è quella di allargare l’attività aziendale ad altri settori della mobilità urbana coordinata dalle piattaforme. Si spiega così l’interesse per la rivale mediorientale Careem – interesse maturato dopo la vendita dei servizi in Cina e in Russia.
Oltre alle consegne a domicilio, Uber è interessata anche ai servizi di biciclette e scooter elettrici. Berlino sarà la prima città europea a ospitare le biciclette elettriche Jump, altre seguiranno. Oggi il servizio opera in otto città degli Stati Uniti, tra cui New York. Questo settore è dominato da aziende cinesi a livello globale. Non è ancora un settore maturo, sono molte le difficoltà nella diffusione di una simile applicazione. Khosrowshahi ritiene che l’espansione in tutti i settori della consegna metropolitana sia una priorità assoluta in vista di un’offerta pubblica che potrebbe avvenire nella seconda metà del 2019. Il valore di Uber si è attestato intorno ai 70 miliardi di dollari.

Deliveroo è una delle più grandi “startup” europee. Nel 2016 ha perso 129 milioni di sterline, quattro volte in più rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo però il suo fatturato è aumentato fino a 128,6 milioni di sterline. Ciò che conta in questo strano andamento finanziario è la raccolta di capitali finanziari, circa 480 milioni di dollari nel 2017 da investitori tra cui Fidelity Investments e T. Rowe Price Group.

Questa è la storia di un capitalismo dove i grandi poli non solo acquisiscono i diretti concorrenti, ma si allargano nei settori attigui razionalizzando l’offerta su una pluralità di piattaforme tra loro coordinate ed egemonizzate. Il caso di scuola è quello di Amazon che agisce lungo le linee interne della grande distribuzione e del retail, strettamente intrecciati con l’e-commerce, ma si sta allargando da anni nei settori più diversi: dai ristoranti alla produzione televisiva e cinematografica, dalla produzione di software e cloud computing alla grande stampa del Washington Post. La strategia di Khosrowshahi è ispirata alla stessa idea, sebbene con risorse finanziarie inferiori. Di recente, infatti, Amazon ha raggiunto un valore di borsa superiore al trilione di dollari. Visto che queste aziende sono soprattutto fondi finanziari, va segnalato che nel 2017 Deliveroo era in trattative con SoftBank, uno dei maggiori investitori di Uber. Le trattative si sono bruscamente concluse dopo che SoftBank si è concentrata sul finanziamento del nuovo corso di Uber con un investimento da 1,25 miliardi di dollari.

I problemi di Uber sono iniziati quando i tassisti di New York hanno scioperato contro il Muslim Ban di Trump. Kalanick, già presente nel consiglio economico del presidente Usa, decise di sostituire i tassisti con i propri autisti davanti all’aeroporto della Grande Mela dove centinaia di persone erano trattenute in quel momento. Una campagna sui social media, lanciata su Twitter con l’hashtag #deleteuber, ha prodotto effetti devastanti: dall’applicazione si cancellarono 200 mila utenti circa. Subito dopo è seguita la denuncia della cultura sessista aziendale da parte di una lavoratrice che ha portato a una serie di dimissioni tra i vertici.