Messo in difficoltà per avere lasciato crescere una cultura d’impresa sessista e discriminatoria, l’amministratore delegato di Uber Travis Kalanick si è dimesso ieri. Per Benchmark, First Round Capital, Lowercase Capital, Menlo Ventures e Fidelity Investments, i cinque principali investitori del colosso che ha trasformato il trasporto privato via piattaforma digitale, la pausa di riflessione indefinita annunciata la settimana scorsa da Kalanick non è bastata.

La morte in un incidente di barca della madre, oltre alle polemiche generate dal suo appoggio a Donald Trump con relativa campagna di boicottaggio sui social network, avevano ulteriormente indebolito un personaggio controverso noto per i metodi di gestione muscolari. Kalanick aveva detto di volere lavorare «su se stesso». Prospettiva insufficiente per i detentori dei «capitali di ventura» che detengono complessivamente il 40% del potere di voto nella multinazionale valutata quasi 70 miliardi di dollari. Oltre alle dimissioni immediate di Kalanick, in una lettera i cinque investitori hanno chiesto di aumentare la supervisione sul consiglio aziendale attraverso due o tre manager «veramente indipendenti».

Kalanick resterà comunque nel board, anche perché detiene ancora il controllo della maggioranza dei voti. «Amo Uber più di qualunque cosa al mondo – ha scritto in un comunicato – In questo difficile momento nella mia vita personale ho accettato la richiesta degli azionisti di farmi da parte per permettere ad Uber di tornare a costruire anziché essere distratta da un’altra disputa». «Facendo un passo indietro – ha ribadito l’azienda in un altro comunicato – Kalanick potrà avere il tempo di riprendersi dalla tragedia personale che lo ha colpito, dando alla società spazio per vivere pienamente un nuovo capitolo della sua storia. Attendiamo con impazienza di riprendere a lavorare con lui nel board».

Diplomazia a parte, Uber viene da mesi di terremoto ai vertici. Prima di Kalanick, si era dimesso Emil Michael, uno dei suoi più stretti collaboratori, e il presidente Jeff Jones. La crisi è iniziata con le accuse di molestie sessuali da parte di una ex ingegnere informatica Susan Fowler. Fowler ha raccontato sul suo blog personale che la direzione delle risorse umane ha ignorato le sue denunce e ha descritto Uber come un’organizzazione sessista. Da quel momento sono spuntati altri scandali e inchieste, una sull’uso della tecnologia per evadere i regolamenti in alcune città e una causa legale sui segreti commerciali. Kalanick ha cercato di ripristinare l’immagine dell’azienda riconoscendo gli errori e promettendo miglioramenti, ma è finito nuovamente nell’occhio del ciclone a causa di un video che ha ripreso un duro scambio con un autista che lamentava le condizioni critiche del suo lavoro.

Le proteste in tutto il mondo degli autisti per ottenere diritti e il riconoscimento di uno statuto di lavoratori digitali (l’ultima ieri in Croazia), oltre agli scandali, hanno fatto temere per la tenuta del business. Gli investitori potrebbero perdere miliardi di dollari nel caso in cui l’azienda subisse una valutazione negativa. Le dimissioni di Kalanick fanno parte di una più ampia strategia di recupero. Entro 180 giorni l’azienda ha promesso di modificare le condizioni di lavoro degli autisti che ora potranno incassare le mance. È di una decisa inversione di tendenza nella politica aziendale, volta anche a frenare la fuga degli autisti causato proprio dai bassi compensi. Lyft, la rivale di Uber, permette ai suoi autisti di incassare mance dal 2012.

Secondo i dati di una ricerca «Second Measure», riportati dal Financial Times, negli Stati Uniti la quota di mercato di sarebbe calata dall’84% di inizio anno al 77% di fine maggio. Anche se il giro di affati a livello globale è in crescita, e nel primo trimestre 2017 ha toccato quota 3,4 miliardi di dollari (il triplo rispetto al 2016), il tasso di crescita delle attività negli Usa sta rallentando. Per gli investitori questo è un motivo di preoccupazione. Anche all’estero la concorrenza con altri capitalisti di piattaforma si sta intensificando. Uber affronta Ola in India e Grab nel Sud-Est asiatico. Gli esperti di Deutsche Bank non prevedono un impatto negativo del rimpasto manageriale su una possibile quotazione dell’Unicorno della Silicon Valley a Wall Street. I vertici della società hanno ribadito che la quotazione non avverrà a breve.