Twitter, il popolare sito di microblogging, ha debuttato al New York Stock Exchange ieri. Cinguettii portenti, dato che le azioni sono state vendute inizialmente a 45,10 dollari l’una, arrivando anche a 50 e superando del 90 percento la quotazione iniziale di 26 dollari, già rialzata dopo le prime indicazioni diffuse dall’azienda alla notizia della quotazione in Borsa. Grazie al prezzo iniziale il neo colosso americano era stato valutato per un totale di 18,3 miliardi di dollari. Un grande successo, dunque, che schianta la precedente quotazione del social network rivale, Facebook, che esordì con numeri piuttosto bassi al Nasdaq nel 2012 e che sembrerebbe offuscare le insidie di un boom che presenterebbe ancora molti punti oscuri.

Twitter, azienda fondata da Jack Dorsey nel 2006 è un sito di microblogging piuttosto popolare: permette di comunicare in tempo reale, anche attraverso la app su smartphone, notizie – purché in 140 caratteri – e recentemente anche foto. Ci si iscrive gratuitamente e si tratta di un grande bar all’aperto, dove attraverso i propri followers, si seguono discussioni, si suggeriscono link, si promuovono iniziative. E’ usato da aziende commerciali, dai grandi media, dai professionisti del settore dell’informazione e da persone comuni: ognuno segue le migliaia di tweet sulla propria timeline (una sorta di bacheca virtuale). Utilizzato anche da leader e organizzazioni politiche, negli ultimi anni è spesso diventato il modo attraverso il quale si sono apprese molte delle notizie più rilevanti al mondo. Inoltre l’utilizzo massiccio che ne viene fatto via smartphone, ha permesso all’informazione, anche mainstream, di accedere a notizie – e foto – altrimenti irraggiungibili, grazie alla presenza nei posti di persone che via Twitter erano in grado di creare una narrazione sensata di eventi. Nel tempo è diventato uno strumento che più volte si è ritagliato una sua importanza nei più moderni meccanismi di comunicazione, sia informativa, sia aziendale. Il funzionamento è piuttosto semplice, benché specialistico, e proprio la mole di informazioni macinata, ha creato un primo rischio: il flusso di tweet infatti è straordinariamente elevato e finisce per rendere molti degli utenti Twitter non più attivi. Sul fronte utenti inoltre, bisogna sottolineare che secondo la rivista TechCrunch solo circa 200 milioni possono essere considerati attivi (e sono tanti gli account falsi).

Il modello di Twitter, con la timeline ingolfata di contenuti di ogni tipo, creerebbe quindi un primo punto debole: la difficoltà a crescere in numero di utenti e l’alta percentuale di chi abbandona il servizio. Queste valutazioni di tipo pratico nell’utilizzo dello strumento, hanno una ricaduta da un punto di vista puramente economico. La domanda delle domande è infatti molto semplice: come fa i soldi Twitter? Il modello di business di Facebook infatti è molto chiaro, quello di Twitter decisamente meno. Il tentativo di modificare alcune caratteristiche del proprio layout sembrerebbe proprio andare incontro alla necessità di accrescere l’appetibilità del modello per l’advertising, da cui già oggi arriva l’85 percento dei ricavi. Pubblicità vuol dire la vendita di ciò che più prezioso possiedono i social network: le informazioni dei propri utenti. A questo forse si riferisce la recente acquisizione di MoPub strumento che dovrebbe servire proprio ad aiutare Twitter sul fronte advertising e per la crescita numerica del microblog, che ad oggi è il più grande punto interrogativo della società americana.

Ad aumentare altre diffidenze sono anche i numeri: Twitter è in perdita – nell’ultimo trimestre ha avuto un deficit di 79 milioni di dollari – e le previsioni prevedono un bilancio negativo fino al 2015, in secondo luogo la sua scalata in Borsa è stata seguita da Goldman Sachs, Morgan Stanley and JPMorgan Chase & Co.; secondo Bloomberg questo avrebbe portato le banche d’affari a detenere larghe fette di quote dell’offerta iniziale.