Non è stata la prima volta, sicuramente non sarà l’ultima. In Inghilterra la protesta contro il caro biglietti delle partite di calcio ormai non accenna a placarsi. L’ultimo episodio, datato due settimane fa, ha visto protagonisti i tifosi del Liverpool, che al 77esimo minuto del match casalingo contro il Sunderland hanno abbandonato in massa gli spalti dello storico Anfield Road. Il minuto non è stato ovviamente scelto a caso, ma rappresentava un chiaro riferimento alle 77 sterline (circa 100 euro) che il club aveva intenzione di far pagare nel 2016-2017 per alcuni tagliandi nella rimodernata e ampliata Main Stand. Una cifra che i supporter dei Reds hanno bollato come immorale, anche in considerazione del notevole aumento rispetto a quanto richiesto fino alla stagione attuale (59 sterline). In realtà i posti da 77 pound erano solo 200 e nello spazio di qualche giorno il Liverpool si è affrettato a fare marcia indietro. Ma quanto successo nella Merseyside non è che l’ultimo segnale forte e chiaro del grande disagio provato dai supporter di tutta la Gran Bretagna. «Working class game, business class prices» ricordava qualche tempo fa uno striscione quanto mai azzeccato. Purtroppo è un dato incontrovertibile che una larga fetta degli amanti del football sia stata estromessa dagli stadi dal continuo incremento del costo dei preziosi tagliandi. Colpa (anche) dell’ormai irrevocabile processo di gentrificazione degli impianti britannici, iniziato dopo il dramma dell’Hillsborough datato aprile 1989, quando 96 tifosi del Liverpool persero la vita allo stadio dello Sheffield Wednesday. Il rapporto che fece seguito a quella immane tragedia, ormai conosciuto come Taylor Report dal nome del giudice che presiedeva la commissione d’inchiesta, stabilì una serie di regole auree su come rimodernare gli stadi. Per questa ragione nella Premier e nella Championship (la Serie B inglese) sono state cancellate le terrace, le gradinate dove erano cresciute generazioni e generazioni di appassionati. Adesso nelle arene più importanti d’oltre Manica imperano seggiolini e corporate box. L’atmosfera è a dir poco annacquata, mentre coloro che occupano i palchi pensano più a mangiare e a bere o a parlare di affari, invece di seguire l’andamento della partita. Da quando il football è stato «sdoganato» e da sport popolare è diventato una forma di intrattenimento alla moda, è molto cool farsi vedere nei carissimi settori esclusivi dell’Old Trafford o dell’Emirates Stadium. Pazienza se anche chi ha ancora una visione genuina del calcio in Premier si ritrova a sborsare una media di oltre 34 sterline a partita per il biglietto più economico. Particolarmente colpiti i tifosi delle squadre in trasferta, che in conto devono mettere pure le spese di viaggio. Per questo è attiva una campagna trasversale denominata Twenty is plenty, ovvero 20 sterline a biglietto bastano e avanzano. Ma le società per ora fanno orecchie da mercante. Il problema del settore ospiti iper-inflazionato è molto comune anche in altri paesi. Di recente c’è chi ha alzato la testa. A Stoccarda il contingente del Borussia Dortmund è entrato con 20 minuti di ritardo e ha effettuato un fitto lancio di palline da tennis in campo per manifestare tutto il suo disgusto ai 70 euro imposti per accomodarsi nel settore ospiti della Mercedes Arena. In Spagna quelli dell’Atletico Madrid hanno preferito disertare in massa il breve viaggio a Getafe. Troppi i 50 euro che pretendeva la società della cittadina a sud della capitale spagnola. In Inghilterra tutto questo trambusto succede quando sta per entrare in vigore il nuovo contratto per i diritti televisivi della Premier, il più ricco della storia. Per il periodo 2016-2019 le 20 squadre della massima divisione incasseranno 5,14 miliardi di sterline (+71% rispetto al triennio precedente), cui si aggiungono altri 3,2 miliardi per la cessione delle immagini all’estero. Un fiume di quattrini, è indubbio. Tanto per farsi un’idea, da metà 2016 le «piccole» della Premier intascheranno dai diritti tv circa la stessa cifra che in Italia spetta alla Juventus. In tanti auspicherebbero allora una riduzione, non un aumento del costo dei tagliandi. Invece l’onnipotenza delle televisioni, che fanno spostare partite più o meno a loro piacimento, è ulteriore fonte di acrimonia per i tifosi. I sostenitori dello Sheffield United hanno appena mandato a Sky un «conto» di 7.251 sterline per le spese sostenute invano per la trasferta a Southend, inizialmente prevista per il lunedì di Pasqua e ora in programma due giorni dopo. Insomma, oltre il danno la beffa, anche perché le società più che a tutelare gli interessi dei tifosi sembrano occupate a spendere e spandere per acquistare giocatori e pagar loro salari da nababbi. E pensare che una delle raccomandazioni del Taylor Report chiedeva proprio di calmierare il prezzo dei biglietti, così da rendere il football accessibile a tutti. Risultato, dal 1989 a oggi l’incremento è stato di oltre il 700%. Qualche tifoso si è divertito a usare questo parametro anche per altri beni di consumo, accorgendosi che con un incremento del genere una pinta di birra e un pacchetto di sigarette costerebbero il doppio, mentre un paio di scarpe da ginnastica addirittura quattro volte tanto. Va detto che per il momento le arene della Premier continuano a essere piene (tutte le società vendono il 50% dei posti già in sede di abbonamento). Ma presto questo trend potrebbe cambiare. E qualcuno si potrebbe accorgere che «football without fans is nothing».