Lotta per l’emancipazione e repressione degli omosessuali si intrecciano nella storia della Germania come in quella di nessun altro Paese. È sul suolo tedesco che prende forma la prima embrionale rivendicazione dei diritti in pieno Ottocento, ancor prima della fondazione del Secondo Reich del 1870: pioniere fu il giurista Karl Heinrich Ulrichs, ex funzionario del regno di Hannover, che prese la parola al congresso dell’Associazione dei giuristi tedeschi per denunciare pubblicamente le leggi «anti-sodomia» dei trentanove stati che fino all’anno prima avevano formato la Confederazione germanica. Era il 1867, in quel lasso di tempo in cui, fra la guerra austro-prussiana e quella franco-prussiana, si stava compiendo l’unificazione tedesca sotto la direzione della Prussia di Bismarck e del re e futuro imperatore Guglielmo I. L’iniziativa di Ulrichs, protagonista del primo coming out della storia, non ebbe alcun successo, ma, di fatto, segnò la nascita dell’identità politica degli omosessuali – che, sia detto per inciso, suscitava le sprezzanti ironie di Marx ed Engels.

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Un’identità che si forgiò nelle campagne di protesta contro il famigerato paragrafo 175 del codice penale del neonato Impero, che uniformò le precedenti norme dei diversi stati: «Gli atti sessuali osceni e contronatura commessi fra due persone di sesso maschile o fra uomini e animali sono puniti con la detenzione; possono anche comportare la perdita dei diritti civili». Ulrichs finì per lasciare il Paese, stabilendosi in Italia, prima a Napoli poi a L’Aquila, dove morì nel 1895 (e dove ora c’è una piazza a lui intitolata). Nel nostro Paese, come in Francia, non c’erano più da tempo leggi penali «contro la sodomia». A prendere idealmente il testimone di Ulrichs nella battaglia contro la discriminazione legale fu Magnus Hirschfeld, medico, fondatore della moderna ricerca scientifica in materia sessuale. Dopo la prima guerra mondiale creò l’Istituto per la ricerca sessuale, centro propulsore delle iniziative sociali e politiche contro la criminalizzazione dell’omosessualità durante la Repubblica di Weimar. Anni, quelli fra il 1919 e il ’33, in cui Berlino divenne punto di riferimento mondiale delle persone omosessuali, in particolare degli uomini. La capitale tedesca si riempì di locali, associazioni, riviste: è l’atmosfera raccontata da scrittori come gli inglesi Isherwood e Auden, che ispirarono il celebre musical Cabaret (premio Oscar nel 1973).

Quel clima di relativa tolleranza non significò, tuttavia, una modifica del codice penale.

Che rimase immutato fino all’inasprimento del 1935 voluto dai nazisti ormai al potere.

Ovviamente, la libertà della Berlino weimariana cessò per gli omosessuali come per tutto il resto della popolazione. E come per le altre minoranze perseguitate, i sodomiti conobbero l’inumanità della deportazione e dei campi di concentramento. Se questa è storia più nota, e il riconoscimento pubblico dell’ingiustizia perpetrata da Hitler è simbolicamente rappresentato dal monumento alle vittime lgbt che si trova nel Tiergarten berlinese, molto meno noto è che il paragrafo 175 restò in vigore anche dopo la fine del nazismo. Esattamente immutato fino al 1969, poi, dopo l’avvento al governo dei socialdemocratici, progressivamente «addolcito», prevedendo la punizione solo degli atti sessuali fra maschi adulti e minori dello stesso sesso di 21 (poi di 18) anni. Migliaia di persone, in piena democrazia, continuarono quindi ad essere punite per la loro identità di gay. L’infamia cessò definitivamente solo nel 1994 e proprio la scorsa settimana il parlamento ha decretato la riabilitazione piena di tutti i condannati – una sorta di simbolica anticipazione della decisione di ieri.

L’ala più libertaria del Sessantotto tedesco, lungo un decennio come quello italiano, fece della lotta delle persone omosessuali un tratto distintivo. E i Verdi, il partito che al principio degli anni Ottanta ereditò ciò che restava di quel movimento, ne divennero poi l’espressione politico-istituzionale. A Berlino ovest era nel frattempo tornata a respirarsi quell’aria «weimariana» di libertà e tolleranza, che ben si combinava con quella più schiettamente rivoluzionaria della fortissima scena degli Autonomen delle case occupate. Kreuzberg divenne così il quartiere degli anti-sistema di ogni sorta, e Charlottenburg il rifugio degli omosessuali più borghesi. Nel cuore della parte renana della Repubblica federale, quindi nel suo vero centro, anche Colonia, città del carnevale, attrasse progressivamente sempre gay e lesbiche.

La storia più recente parla di Klaus Wowereit, primo omosessuale dichiarato a diventare sindaco di Berlino, nel frattempo tornata ad essere capitale della Germania riunificata e sede di oceaniche manifestazioni per i pride lgbt, sfilate certo molto commerciali, ma sempre combattive.