Théo et Hugo dans le même bateau di Olivier Ducastel e Jacques Martineau ha aperto la 30esima edizione del Festival MIX, dedicato al cinema gaylesbico e queer culture. Gli attori Geoffrey Couet e François Nambot incontrano i loro desideri nelle nude oscurità di un sex club parigino. I due innamorati viaggiano per le vie silenziose della metropoli notturna, ma la rivelazione di Hugo che manifesta la propria sieropositività potrebbe guastare il loro percorso. Arrivato alla settima regia assieme all’amico ed ex compagno Jacques Martineau, Olivier Ducastel assieme al protagonista Geoffrey Couet racconta com’è stato lavorare a questo film, premiato ai Teddy Awards di Berlino.

Tutto il film racchiude l’idea che l’amore e il desiderio prevalgono sui rischi e le paure.

Quando abbiamo immaginato la storia con Jacques non era chiaro come sarebbe stato. Sapevamo di voler fare un film sull’inizio di una storia d’amore. Abbiamo pensato di realizzare Theo et Hugo… subito dopo esserci separati. Vivendo per tanto tempo con una persona ci si trova a provare il desiderio di amare, di essere liberi di potersi innamorare nuovamente. Volevamo un amore che partisse da una situazione irrazionale, coinvolgendo lo spettatore in una scena lunga e conturbante.

La storia di Théo e Hugo parte da un rapporto sessuale, funziona spesso così?

Capita, e non è raro, che attraverso il sesso appaiano i sentimenti, ci si connette a un livello corporeo, e da queste sensazioni può nascere quello che noi chiamiamo amore. Solitamente le storie al cinema partono da due persone che si piacciono, che sembrano attratte l’una dall’altra, divertenti e amichevoli, e poi dopo un’ora e mezza di scene finalmente giungono al sesso. Per gli eterosessuali è solamente un po’ più raro.

E per creare la coreografia della scena d’apertura, come avete lavorato con le luci?

In locali come l’Impact è facile incontrare luci rosse, ma in quel caso era una luce piatta, non direzionale. È molto scuro e rosso, non c’erano ombre o spazi più illuminati di altri. Avevamo bisogno di più luce e di un colore da opporre al rosso, la scelta più ovvia è stato il blu. È stato successivamente che ci siamo accorti che con il bianco c’erano tutti i colori della bandiera francese, in questo momento purtroppo associata all’estrema destra in Francia.

Geoffrey, è stato difficile prepararsi per girare la scena di sesso?

Prima di girare ci sono state molte discussioni con Jacques, Olivier e François, l’altro attore. Abbiamo letto assieme la sceneggiatura più volte con la possibilità di chiedere continuamente, dire quello che ci spaventava o esporre i nostri dubbi. Con François abbiamo lavorato per creare una forte complicità senza tabù, per poter passare quattro giorni nudi assieme ed essere vicini, potersi dire tutto fidandosi l’uno dell’altro. È stato un lavoro molto fisico e sincero, non ho percepito una mancanza di intimità sul set, anche perché c’erano altre diciassette persone nude attorno a noi…

Parigi di notte sembra essere popolata da minoranze, con le quali i due ragazzi sembrano trovarsi a loro agio, come se ci fosse una vicinanza fra gruppi minoritari, identità nascoste.

È più un’osservazione della notte, di tutte le persone che la abitano: stranieri, lavoratori, homeless. Probabilmente sì, anche se è una città gay friendly si trova sempre qualcuno che ti faccia sentire non come tutti gli altri; è capitato anche durante le riprese di ricevere le molestie di qualche omofobo.

Nonostante sia un film gay, non si può dire che utilizzi un «linguaggio gay», ma rientra piuttosto nel grande genere dei film d’amore. Cosa vuol dire film gay, o avere un festival dedicato a tematiche LGBTQ?

È importante che ci siano festival come questi. Il nostro obiettivo è quello di far vedere i nostri film anche a persone eterosessuali, interessate al cinema e alle tematiche gay. Abbiamo quindi bisogno di un focus come questo.