Il tema dell’omosessualità affrontato recentemente da più di un regista latinomoamericano, rimasto ancora vagamente tabù, si fa strada nell’esordio di Marcelo Martinessi senza voler prendere il sopravvento e senza volerne fare una bandiera. Entrano subito in scena due protagoniste, si indovina che vivono insieme da tempo come una coppia, l’ereditiera, Chela (interpretata da Ana Brun Orso d’argento a Berlino come migliore attrice) l’amica Chiquita (Margarita Irun) con il contorno di un giro di conoscenti, anziane vedove o sul punto di diventarlo, mogli di proprietari terrieri o professionisti.

Scegliere questo ambiente permette di fare i conti con una certa trasformazione della società che si fa largo anche in paesi (in questo caso il Paraguay) dove le differenze di classe sono più nette: ne abbiamo visto esempi nel cinema cileno, messicano, brasiliano. Il mondo sta crollando addosso a Chela, non basta più aver ereditato casa e rendita, un po’ alla volta è costretta con un senso di infinita vergogna a mettere in vendita preziosi mobili e arredi. Della vendita se ne occupa la sua compagna Chiquita energica e pratica ma anche intrallazzatrice tanto che finisce in prigione per debiti e truffa.

Chela rimane sola con la sua Mercedes 2600 già messa in vendita, è stordita dagli eventi, finché una signora del suo giro di conoscenze (dal significativo soprannome di «Pituca» indice di sprezzante appartenenza di classe) le chiede di accompagnarla con l’auto e la paga come fosse un taxi senza troppi giri di parole, convincendo anche altre signore del suo tavolo da gioco pomeridiano a fare altrettanto.

Senza il sostegno di Chiquita che si occupava di tutto (e anche di fornirla di sonniferi e tranquillanti da renderla completamente abulica) inizia per Chela un lento processo di risveglio, riacquista la capacità di badare a se stessa, fino a riuscire a riprendere addirittura il tono di voce di comando così tipico della sua classe e di ottenere dalla nuova domestica un incondizionato rispetto.

Il film mostra attraverso le visite in carcere e le attese nei salotti delle signore i due diversi strati della società, sottoproletariato e borghesia in decadenza ma sempre attaccata ai suoi codici. Chela nel mezzo mostra una incredibile prova di bravura nel procedere verso l’imminente povertà a cui non è attrezzata, i piccoli passi nel risolvere i problemi fino al risveglio di un’attrazione sessuale.

Mentre prima il suo mondo si muoveva tra il letto e una inutile tela che dipingeva con gesti ipnotici lenti e concentrici e via via il suo orizzonte si restringeva sempre di più come riassunta nella superficie di un vassoio dove disporre le stoviglie della colazione e del té quasi a concentrare l’agiatezza passata (le belle stoviglie rimaste disposte in un certo modo, il campanello per chiamare la servitù) ora il suo orizzonte diventano le strade di Asuncion dove continua a guidare (senza patente) e perfino in autostrada dove si avventura con temerarietà. Vediamo Chiquita adattarsi assai bene nella situazione carceraria con le nuove compagne (come a segnare bene la distanza tra le due) mentre emerge sempre di più l’attenzione di Chela nei confronti della seducente Angy (Ana Ivanova).

Il tema dell’omosessualità è sempre presente ma come sottinteso eppure ricompare con grande forza all’improvviso rivelando un risveglio di energia e dei sensi. In un universo tutto femminile (la protagonista, le anziane signore, le carcerate, le secondine, le domestiche) la nota dominante è quella dei bei tempi passati evocati da tutte, perfino tra le sbarre. Ma un’altra svolta inaspettata è dietro l’ultima scena.