A otto giorni dal primo salvataggio, Ocean Viking (la nave dell’ong francese Sos Méditerranée e Medici senza frontiere) resta in acque internazionali tra Italia e Malta senza un luogo di approdo. Gli interventi in mare, nel frattempo, sono diventati tre: a bordo ci sono 356 naufraghi, 103 i minori (il più piccolo ha un anno), solo 11 accompagnati. Il 13 agosto la nave ha chiesto l’assegnazione di un porto ai Centri di coordinamento di Roma e La Valletta: «Malta ci ha detto di no – racconta Alessandro Posso, volontario a bordo della nave -, l’Italia ci ha inviato il divieto di ingresso nelle acque territoriali. L’unica risposta positiva è arrivata da Tripoli. Risposta che respingiamo perché, come l’Unhcr spiega, la Libia non è sicura. Tutto il tempo che siamo in stand by è sottratto ai soccorsi, la gente intanto muore per questo».

Il presidente francese Emmanuel Macron, alla vigilia di ferragosto, aveva diramato una nota: «L’Eliseo è in contatto con la Commissione europea per discutere della sorte di Open Arms e Ocean Viking». Mentre le diplomazie sono al lavoro, da bordo arrivano le storie dei naufraghi.
Un ragazzo sudanese di 17 anni ha raccontato: «Sono stato in mare per quattro giorni prima di essere salvato. Il fondo della barca si è rotto il giorno in cui siamo partiti dalla Libia. Cibo e acqua sono finiti dopo 24 ore. Pensavamo tutti di morire». Djibril ha 24 anni, viene dal Ciad, ha provato ad attraversare il Mediterraneo la prima volta a luglio 2016, il barcone di 12 metri su cui viaggiava con 115 persone è affondato sotto il loro peso: «Nessuno sapeva nuotare, avevamo pagato per avere i giubbotti di salvataggio ma non li abbiamo visti». Sono sopravvissuti solo in 53, presi dalle motovedette libiche e riportati indietro.

Djibril e altri due migranti sono stati portati in ospedale per le ustioni dovute al carburante sulla barca. Lì sono stati reclutati dai soldati ma, dopo una settimana, sono scappati. Ha lavorato per 9 mesi a Tripoli per mettere insieme 2mila dinari per un nuovo viaggio. A marzo 2017 salpa ma, dopo appena 5 ore di navigazione, le motovedette di Tripoli li hanno raggiunti e Djibril si è ritrovato alla casella di partenza, questa volta nel centro di detenzione di Tajoura. Da lì ne è uscito grazie a una guardia che, però, l’ha trasformato per mesi nel suo schiavo.

È scappato ancora per provare a riprendere il mare. Al terzo tentativo, alla polizia arriva una soffiata e il gruppo di 300 migranti, nascosto in una baracca a due ore di cammino dalla spiaggia, viene catturato. Ad aprile 2018 è di nuovo su un barcone ma lo scafista non riesce a indirizzare la navigazione e finiscono sulla costa, dove le motovedette li riprendono e li arrestano. Prova a fuggire ma le guardie uccidono tre uomini davanti ai suoi occhi. Djibril finisce in un altro centro di detenzione, a Zawiya, a ovest di Tripoli, dove le guardie gli chiedono 200mila dinari per farlo partire. Al quinto tentativo, è stato salvato dalla Ocean Viking, adesso è nel mezzo del Mediterraneo, in attesa.