Non è passato inosservato il potere di reclutare i docenti conferito ai presidi dal Ddl “Buona Scuola”. Alcuni dei commenti letti sulla pagina facebook de Il Manifesto, non dissimili dalle migliaia su altre pagine specializzate, parlano di «neo-feudalesimo» e «clientelismo». La formula usata ad esempio da A. G. è esemplare nella sua durezza: «In un paese dove tutti fanno lavorare la moglie, gli amici, gli amici degli amici, mi sembra geniale: tanto parliamo di scuola mica d’avvenire per il paese». «Questa è una vecchia obiezione – ha replicato all’Ansa Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi – Ma su 8 mila dirigenti scolastici in Italia ci può essere una mela marcia, ma non per questo bisogna bloccare le riforme».

I dirigenti scolastici potranno scegliere la loro «squadra» individuando i docenti che ritengono più adatti a realizzare i piani dell’offerta formativa (Pof). Questi docenti verranno pescati da «albi territoriali» creati dagli uffici scolastici regionali. In questi albi confluiranno i neo-assunti dalle graduatorie ad esaurimento (Gae), 100.701 persone, e i vincitori dei concorsi. Il governo ha stanziato 200 milioni di euro all’anno per un bonus ai docenti produttivi. Il dirigente scolastico assegnerà il bonus solo al 5% degli insegnanti «meritevoli» che si saranno impegnati di più a rispondere alle linee programmatiche da lui stabilite. Peseranno l’impegno personale e la valutazione delle prestazioni da parte del preside che sentirà anche il parere del Consiglio di Istituto.

Avere vincolato l’assunzione di un docente alla valutazione del suo curriculum è una decisione ispirata all’idea della «chiamata diretta» da parte dei presidi. Questa tentazione ha una lunga storia. La giunta regionale Lombarda provò a istituirla con Formigoni, ma nel 2013 la Corte Costituzionale bocciò la legge che attribuiva alla regione e ai dirigenti scolastici la scelta dei docenti (precari) attraverso concorsi locali. La riforma renziana aggira questa sentenza proponendo gli albi dai quali i presidi sceglieranno personalmente i loro candidato ideali.

La tendenza a rompere l’articolazione democratica degli organi scolastici, accentrando la vita scolastica nella mani di un preside-manager è nata con il centrosinistra e la legge Berlinguer sull’autonomia scolastica nel 1997. Da allora la scuola funziona come un’azienda. La sua azione è ispirata a criteri di flessibilità organizzativa, incentivi, valutazione da cui dipendono i fondi per gli istituti. Da allora il preside è un manager responsabile della gestione dell’offerta formativa e del «capitale umano» a sua disposizione. È responsabile dei Pof che offre ai suoi clienti. Studenti e famiglie scelgono la scuola che concorre con quelle vicine. Il centro-destra è stato organico a questo disegno quando propose il Ddl Aprea rimasto lettera morta anche per l’opposizione di studenti e sindacati.

È da quasi un ventennio che il dirigente scolastico si comporta da manager. Renzi completa questa parabola: gli attribuisce un potere economico (minimo) ma soprattutto quello amministrativo di scegliere il suo «staff». I docenti saranno l’esercito di riserva a disposizione di una casta di manager. La «Buona Scuola» è un mix di neoliberismo e autoritarismo, un marchionnismo molecolare.