Usciva nelle sale dell’arcipelago nel 1985 a firma di Juzo Itami una delle migliori pellicole sull’ossessione per il cibo e tutto quel che ne consegue, compresa l’inevitabile declinazione erotica. Tampopo, questo il titolo del film, è un lavoro che ancora oggi, pur focalizzandosi su un piatto come il ramen, sorta di spaghetti in brodo consumati in Giappone ma di derivazione cinese, e in un contesto molto nipponico, riesce a divertire, stupire e mettere appetito anche allo spettatore occidentale.

Anzi è proprio in questi ultimi anni, periodo che ha visto la popolarità della cucina e della cultura giapponese in generale espandersi a macchia d’olio sul pianeta, che un film come Tampopo può (ri)trovare un nuovo e speciale rapporto con lo spettatore non giapponese.

L’occasione si è presentata negli ultimi mesi dell’anno passato con il restauro e la riproposizione in 4K del film in alcuni teatri americani e che avrà delle proiezioni speciali anche nel suo paese d’origine in gennaio, percorso che si concluderà nei prossimi mesi con l’uscita in un’edizione speciale sia in formato dvd che Blu-ray presso l’americana Criterion Collection.

I motivi che hanno fatto diventare Tampopo uno dei film più amati dagli appassionati di cinema e cibo è senza dubbio da attribuire allo stile tagliente ed al ritmo unico che contraddistingue tutto il lavoro, una commedia a tratti surreale che interseca la storia principale, il camionista cowboy Goro ed il suo compagno, un giovanissimo Ken Watanabe, impegnati nel salvataggio di un piccolo locale di ramen, con vari episodi tutti gravitanti attorno all’ossessione per il cibo, ossessione su cui Itami fa sì della satira ma che allo stesso tempo glorifica e celebra.

Il carattere quasi dispersivo ed ondivago del lavoro permette al regista dar via libera alla sua quasi anarchica irriverenza, un carattere spavaldo e critico che non guardava in faccia a nessuno che gli costò la vita quando nel 1997 fu molto probabilmente «suicidato» – gettato dalla finestra – da un gruppo di yakuza. Episodi di puro divertissement nel film si mescolano ad altre scene che pur nella loro comicità, esprimono un impeto di forte critica sociale. Vale qui la pena di ricordare almeno quella in cui un padre ritorna a casa di corsa dopo il lavoro e trova la moglie in fin di vita. Dopo essersi sincerato delle sue condiziioni, con tanto di medico ed infermiera presenti, le chiede di preparare la cena. Ma terminato di desinare, la donna improvvisamente si accascia e muore.

Di rado la posizione della donna nella società giapponese in relazione a quella maschile è stata messa a nudo in così pochi minuti e con una tale e tagliente verve. Le scene che miscelano erotismo e cibo poi sono diventate nel tempo e per gli appassionati un vero e proprio cult, il gangster vestito di bianco interpretato da Yakusho Yoji che si passa di bocca in bocca un tuorlo d’uovo con la sua donna, o quella in cui succhia un’ostrica dalla mano di una giovanissima pescatrice di perle, sono quasi di stampo batailliano nel loro trasgredire i limiti di genere.

Proprio in questi momenti si notano più che in altri durante tutto il corso del lungometraggio le citazioni di cui Tampopo si compone, il film infatti è leggibile anche come un omaggio al cinema e ai suoi generi, l’accompagnamento musicale di Mahler, lo stesso usato da Visconti per Morte a Venezia, punteggia quasi tutte le apparizioni del gangster. Ma è tutto il lungometraggio che rimanda con ironia e intelligenza alla storia del cinema, da Shane a Fino all’ultimo respiro, da Bunuel fino al genere western e oltre.

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