Nel vicolo cieco. A poche settimane dallo «storico» incontro del Nazareno, il sistema politico italiano si ritrova esattamente dove è ormai da anni: in una strada senza sbocchi.
Lo stato comatoso del governo Letta è certificato. Nemmeno i suoi più sfegatati sostenitori negano l’evidenza. Lo si potrebbe comunque tenere in piedi per il tempo necessario a varare la riforma elettorale e quella istituzionale. Se non ci fosse di mezzo la crisi. Ancor più dell’«avviso di sfratto» di Matteo Renzi è il pronunciamento in piena regola della Confindustria e dei sindacati ad aver messo il presidente del consiglio con le spalle al muro. Resistere per l’anno e passa necessario per le riforme con tutte le parti sociali contro è poco meno che impossibile. L’ipotesi del Letta-bis, carta di riserva che ha tenuto banco, sia pur mai esplicitamente, per mesi, è sfumata definitivamente. Se il premier si dimettesse, gli stessi partiti che oggi lo sostengono indicherebbero al capo dello stato un altro nome: quello di Matteo Renzi.

Un governo «di scopo» presieduto dal segretario del Pd sarebbe per molti versi la via più ovvia. Garantirebbe le riforme. Rassicurerebbe chi teme le elezioni a breve sulla durata del governo e anzi desterebbe vertiginose speranze di resistere ben oltre il 2015. La stessa Fi non potrebbe ostacolare più che tanto un simile governo. Per il segretario del Pd sarebbe certamente un rischio: difficile, probabilmente impossibile, chiudere la porta in faccia a Fi se si offrisse di partecipare attivamente all’impresa, e come reagirebbe la base del centrosinistra è noto. Arduo evitare sgradevoli parallelismi con l’azzardo che costò la carriera a Massimo D’Alema nel 1998. Le opportunità però sarebbero molto allettanti. Non a caso, checché ne scriva su Twitter, Renzi «ci sta riflettendo», come non mancano di segnalare i suoi.

Però i comprensibili dubbi del diretto interessato non sono il solo ostacolo sulla via di palazzo Chigi, e forse nemmeno il principale. Il Colle, in materia, non si è espresso né ufficialmente né ufficiosamente. Ma tutto lascia pensare che quella eventuale soluzione non sia per nulla gradita. È noto che il presidente non ha apprezzato l’appiglio offerto a Berlusconi. Si sa che sulla nuova legge elettorale nutre dubbi costituzionali che non si limitano al capitolo, risolto, della soglia per accedere al premio. Ha confermato il suo sostegno a Letta e se questi dovesse di qui al 20 rassegnare le dimissioni aggirerebbe quasi certamente il passaggio del reincarico spedendolo alle camere per verificare una fiducia che il Pd non potrebbe certo negargli.

Restano le elezioni, opzione che Renzi non ha affatto scartato. Ma è una via percorribile solo a fronte di un’imboscata sulla legge elettorale la settimana prossima, oppure in ottobre, dopo l’approvazione della legge medesima, o ancora come soluzione estrema di fronte a uno stallo conclamato e non risolubile.

In questa condizione, è probabilissimo che Letta tenti la carta del rimpasto, forse anche prima del fatidico 20 e che le pressioni, non solo sue, per ottenere il coinvolgimento di qualche renziano si moltiplichino. Ma neppure questa sarebbe una via d’uscita dal vicolo cieco, soprattutto perché un valzer di poltrone non basterebbe a rasserenare le ire funestissime delle parti sociali. Basta aggiungere che l’iter della legge elettorale è tutt’altro che sicuro e che la proposta di riforma del senato di Renzi è affondata un attimo dopo essere stata presentata per concludere che il sistema politico italiano è più che mai immerso nella palude.