Da dove cominciare per capire lo stato delle cose di oggi, tornate nel tempo di ieri? E quale chiave scegliere per capire? Le guerre di religione del seicento europeo, non più tra protestanti e cattolici, ma tra sunniti e sciiti? La politica di potenza tra America e Paesi Arabi, tra America e Russia, tra la Germania e gli stati-nazione dell’Unione Europea, non ancora vassalli?

Oppure la chiave è nel primato dell’economia che ha fallito nella sua propensione a governare senza la politica? Il potere senza politica perde presto legittimità. La perdita di legittimità porta con sé la caduta della legalità e torna la forza come strumento per il controllo degli uomini. La politica di potenza, al momento in così buona salute, testimonia quanto fragile è il potere delle élite finanziarie. E’ un potere in grado di subire attacchi che sono imprevisti persino dai più geniali artisti degli algoritmi, gli attuali consiglieri delle élite. Sono colpi che aprono scenari di guerra. Guerre di indipendenza, guerre di classe, guerriglie.

E dunque il nuovo re dell’Arabia Saudita, sorretto dai principi e emiri e sceicchi e capi clan, decide di attaccare frontalmente le corporation americane del gas e del petrolio, tiene aperti i rubinetti e basso il prezzo di mercato così da rendere un pessimo business la prospettiva americana di rendersi del tutto autonomi da loro. La risposta americana è stata una purissima mossa di politica di potenza: dopo 35 anni di ostilità con l’Iran,

Obama stringe un accordo sul nucleare che riporta i persiani sulla scena mondiale, ringrazia ufficialmente Putin per l’aiuto ricevuto, e ignora le proteste israeliane.

Nella logica astratta del primato dell’economia l’ipotesi possibile sarebbe stata un compromesso tra le élite transnazionali sul mercato del petrolio e non un attacco politico-ideologico degli arabi che arriva sino al finanziamento dei vari e contrapposti movimenti terroristi. I quali in comune hanno che tutti vogliono cacciare i bianchi dai loro territori e lo fanno con la violenza invece che con il mercato.

Il ricorso alla violenza e alla forza è stato scelto anche per il confronto sull’Ucraina tra America e Russia. Chi ha cominciato? Dipende da quando si vuole cominciare: dalle guerre balcaniche di Clinton, dalle “rivoluzioni colorate” di Clinton e Obama, dalla Crimea di Putin? A ognuno le sue responsabilità. Sia alla Russia che non vuole stare nell’angolo dove si vuole che stia e reagisce, e sia alla Nato post Urss e alle patologie vendicative polacche, estoni, lituane, e così via.

Il risultato è l’allontanamento della Russia dall’Europa, la sua ricerca di altri partner nel business e negli equilibri strategici. Chi avrebbe scommesso solo pochi anni fa, in un riavvicinamento tra Mosca e Pechino? Eppure si sta realizzando grazie alla scelta di Washington di correre dietro alle istanze della lobby ucraina, quella degli emigrati della seconda guerra mondiale, scappati per aver dato una mano ai nazisti. Ancor più che in altri scenari in quello della Russia colpisce la fragilità polico-strategica delle élite cosmopolite. Nello specifico si tratta di farsi condizionare dal Pentagono invece che da Wall Street e dunque di aver ancora paura dell’ex potenza militare sovietica. La conseguenza è una aspra tensione nei rapporti tra governi piuttosto che normali rapporti di affari tra le rispettive élite finanziarie.

Il caso – almeno ufficialmente – vincente del primato dell’economia è quello greco, raccontato per filo e per segno dai media. La lettura corrente esalta la vittoria delle formiche tedesche sulle cicale greche, messe in riga come si meritano. Altre però sono le verità note e quasi mai portate allo scoperto. La prima è che l’entità dell’economia greca è pari a quella della Basilicata rispetto alla Lombardia in Italia e dunque si poteva cercare un compromesso come si è fatto per l’Austria.

Non lo si è voluto per motivi solo politici e qui la politica sembra proprio assumere la forma di un conflitto di classe dove la sconfitta delle cicale è necessaria non tanto perché sono cicale ma quanto perché vogliono contrapporsi alle formiche. Molti hanno messo in rilievo che la piccola vittoria sulla piccola Grecia è una sconfitta per l’Europa, quell’Europa ipotizzata nel dopo guerra e che mai ha potuto prendere forma.

Contro quell’ipotesi, tutta politica e ideologica, i nemici erano e sono tanti, a cominciare dall’America di Clinton e di Bush, ostile all’euro, ad una qualche Costituzione che andasse oltre gli stati-nazione, ad un esercito comune europeo e invece favorevole all’allargamento dell’Unione, perché governare 28 stati-paesi è un miraggio. Un miraggio da sperimentare nel funzionamento quotidiano delle istituzioni europee. Le quali per l’appunto si occupano della dimensione delle vongole italiane.

E le formiche di Berlino nulla hanno da eccepire, consapevoli di aver esse in mano le carte dell’Europa. In tal senso sono formiche che si stanno preparando a nuovi equilibri di potenza, non più usando le armi, ma il mercato.