Da troppi anni Lampedusa viene strumentalizzata per alimentare ansie da «invasione», per non parlare mai, paradossalmente, delle ragioni e delle storie di quelle migliaia di donne e uomini che migrano fuggendo da guerre e ingiustizie.

E anche oggi troppe voci stanno usando Lampedusa in modo strumentale. Parlare di Lampedusa, ripartire da Lampedusa, deve avere adesso invece un significato completamente diverso.

In questo senso dalle pagine del manifesto il sindaco Giusi Nicolini, invoca un cambiamento vero delle norme, della politica, dell’Europa intera, proponendo di ospitare questo auspicato processo proprio nell’isola. Dal canto nostro sappiamo che la scrittura di nuove regole può avere segni differenti. E se proprio da Lampedusa ripartisse dal basso una spinta per cambiare radicalmente l’Europa, questo Paese, le sue norme e la sua politica?
Dopo la strage di giovedì scorso, anche grazie all’appello per un canale umanitario che insieme a tantissimi abbiamo promosso dalle pagine di Melting Pot Europa, si è aperto un dibattito impensabile fino a pochi giorni fa. Cosa ci dice la petizione on-line proposta da Repubblica per cancellare la legge Bossi-Fini? Di cosa ci parla la proposta di cancellazione del reato di clandestinità se non di questo?

Agire questo spazio, mantenerlo aperto, provare a lavorare affinché si trasformi in azioni concrete, è, crediamo, un dovere di noi tutti. Ma per farlo abbiamo bisogno di metterci in cammino abbandonando l’idea che qualcuno possa farlo al posto nostro.
Perché pur essendone stati i promotori, siamo consapevoli del fatto che nonostante questi appelli abbiano contribuito ad aprire una discussione, non sono sufficienti a produrre invece una trasformazione reale delle regole che disegnano lo scenario in cui si consumano le stragi del Mediterraneo e le violazioni dei diritti di milioni di cittadini non riconosciuti all’interno dei confini europei.

C’è poi un secondo aspetto, estremamente delicato, su cui è necessario fare chiarezza. Lo spazio di discussione che si è aperto e l’idea di rivisitazione delle regole di cui oggi parlano tutti, da Napolitano a Barroso, da Alfano a Letta, non ha certo una direzione scontata. La discussione verte tutta intorno al potenziamento dei pattugliamenti di Frontex, alla riscrittura degli accordi bilaterali, all’appalto delle domande d’asilo ai paesi terzi, al recepimento delle direttive Ue, il cui termine di recepimento era stato fatto abbondantemente scadere, a qualche aggiustamento normativo. Tutto condito dalla retorica della lotta ai trafficanti, del rispetto dei diritti umani, della solidarietà europea.

Il dramma di Lampedusa ha di fatto messo in discussione la legittimità delle politiche europee e italiane in materia di immigrazione. Di conseguenza le istituzioni europee e nazionali si trovano di fronte alla necessità di riscriverne le regole, o alcune di queste, di raffinarne i meccanismi, di annunciarne la cancellazione, di attenuarne le spigolature, di ricostruire un’immagine nuova abbandonando, nella forma, quella che le ha accompagnate in questi anni, con lo scopo di poter riaffermare però, nella sostanza, l’impianto stesso dell’Europa Fortezza.
Vi è il rischio concreto che la politica istituzionale dica di voler cambiare tutto per poi invece non cambiare nulla, affogando nuovamente le speranze di milioni di donne e uomini nelle acque torbide delle larghe intese e degli egoismi europei. Tocca a tutti noi giocare la partita che si è aperta perché ogni discorso di cambiamento prenda un’altra traiettoria.

Non esistono scorciatoie. Esiste invece la possibilità di ripartire insieme perché l’incredibile disponibilità a mettersi in gioco che abbiamo registrato possa trasformarsi in un percorso di migliaia di persone, in una riscrittura delle regole attraverso un’elaborazione giuridica, politica, culturale, che sia veramente collettiva.
A partire da Lampedusa. Ritrovandoci a stretto giro insieme sull’isola, con chi sull’isola oggi chiede un cambiamento, insieme a chi ha sottoscritto gli appelli di questi giorni, a chi vuole giocare questa sfida fino in fondo, per dare vita a un grande meeting, un momento di discussione aperto, tra associazioni, collettivi, organizzazioni e singoli. Per un momento di elaborazione di proposte ma anche di costruzione di una campagna nazionale e europea per un’Italia senza la legge Bossi-Fini, per un’Europa diversa, senza detenzione, respingimenti, cittadinanze negate e diritti violati. Per far si che proprio il luogo che in questi anni ha dovuto subire le scelte della politica europea, diventi invece motore di un’ipotesi di cambiamento.
Ritroviamoci a Lampedusa per scrivere insieme la Carta di Lampedusa.
*Progetto Melting Pot Europa