«Diciamo la verità: c’è una sola via per fare una legge elettorale equilibrata e una riforma del senato meditata: che Renzi vada a Palazzo Chigi, che la legislatura si allunghi, e che nel frattempo l’azione di governo si disincagli dalle secche». Il ragionamento di un alto dirigente cuperliano, ieri pomeriggio alla Camera, all’uscita dell’ennesima riunione di area, ormai è esplicito. La posizione ufficiale della minoranza invece è più diplomatica. La annuncia Gianni Cuperlo: «Il nostro obiettivo è aiutare Renzi a portare in porto la riforma elettorale che è un pezzo del pacchetto complessivo delle riforme istituzionali». La minoranza «rispetta» l’accordo Pd-Fi, non punta al voto segreto (che non preoccupa, come già dimostrato nelle pregiudiziali di costituzionalità). Ma ritiene irrinunciabili tre «migliorie»: l’Italicum dovrà entrare in vigore solo dopo la riforma del senato (è l’emendamento di Antonio Lauricella, docente di diritto costituzionale e figlio di Salvatore, ministro e presidente del Psi della prima repubblica); primarie per legge; parità di genere. Ma per fare le riforme, ribadisce Cuperlo, «serve tempo e un governo forte».

Il «lodo Lauricella» è una clausola di salvaguardia che scongiura il ritorno al voto con il ’vecchio’ senato: una garanzia per la legislatura, che chiede anche Scelta civica in tutte le sue diverse voci. Il che però non vuol dire, si noti bene, che sia una garanzia per il governo Letta. E l’attivismo di Renzi, che ieri ha incontrato Verdini, l’ambasciatore di Berlusconi, e le varie anime di Scelta civica, prima di salire al Colle, potrebbe essere una prova.

Oggi la legge elettorale approderà in aula. Ieri, alla chiusura dei termini, gli emendamenti erano 450. Nel comitato dei 9 c’è stato un intoppo. La bozza dell’emendamento del relatore Sisto (Fi) sul meccanismo per identificare i collegi nei quali scatteranno i seggi conquistati dai partiti ha fatto saltare i nervi a Dorina Bianchi (Ncd) che ha minacciato il no dei piccoli. Ma la vigilia dell’aula è stata la giornata in cui le quotazioni del governo Letta sono scese in picchiata. Il finto scoop del Corriere della sera (Monti ’consultato’ da Napolitano ben prima delle dimissioni di Berlusconi, nel 2011) viene letto come una sollecitazione al Colle a dissuadere il premier dal rimpasto.

I segnali della disponibiltà del leader Pd alla ’staffetta’ si moltiplicano. Agli ambienti industriali e finanziari dei giorni scorsi ormai rispondono renziani doc: Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria, ancora sul Corriere: «Ora serve coraggio». La schiera dei sostenitori di Letta si assottiglia di ora in ora. Anche Cuperlo incontra il premier e ribadisce che «un rimpasto non basta», ci vuole una ripartenza: con un Letta bis, se Letta «si sente in grado». O con un Renzi I. Uno degli scenari di cui Napolitano e Letta parlano di sera al Colle.

Stamattina il segretario incontrerà i deputati Pd. Poi l’Italicum in aula: lì si vedrà se la legge elettorale resterà incagliata o partirà spedita, condizione posta da Renzi per la prosecuzione del governo. Anche il premier vuole vedere con che marcia parte l’Italicum prima di salire al Colle. Ma dalla sinistra del partito, ormai quasi tutta tifosa della ’staffetta’, si conta l’anno che – minimo – serve per la riforma del senato: la deadline dell’inizio 2015 potrebbe non bastare. Meglio un premier che abbia davanti tempi più lunghi. Ovvero Renzi.

Ma i lettiani non mollano: «Letta nelle prossime ore prenderà un’iniziativa molto forte sul piano programmatico, sul rilancio del governo e della sua squadra», giura Paola De Micheli. Linda Lanzillotta (Sc) non ci crede: «La spinta di questo governo sembra essersi esaurita. Ora spetta a Renzi assumere la responsabilità di questa fase, diversamente l’aggravarsi della crisi sarebbe imputato al Pd. Renzi ora o, forse, mai più». I «falchi» renziani tengono la linea del no alla staffetta: «Non possiamo pensare che Renzi adesso pressi per andare a Palazzo Chigi, ma il governo è aggrovigliato su se stesso», spiega Matteo Richetti. Non «pressa», certo, chi glielo fa fare. È lui ora ad essere «pressato» di accettare.