Il movimento Nuit Debout è diventato molto noto in Italia; nei gruppi politici più attivi e radicali l’entusiasmo è pari alla costernazione per l’immobilismo italico, in specie riguardo i sindacati.

È noto che tale movimento è sorto a fine marzo per opporsi a quella che viene considerata la versione d’oltralpe del Jobs Act, la legge chiamata Loi travail, volta alla riforma del codice del lavoro.

Da quando ha iniziato l’iter legislativo a metà febbraio fino al voto favorevole dell’Assemblea nazionale il 10 maggio è diventata il peggiore incubo del governo di Parigi per l’ampiezza dei settori sociali che si sono mobilitati contro un provvedimento accusato di precarizzare il lavoro e di sospingere le relazioni industriali nella palude della deregolamentazione.

Questo aspetto di potenziare la contrattazione al livello dell’impresa singola rispetto ai contratti collettivi nazionali è particolarmente significativo. Diventando così, viceversa, il sogno del Medef, la Confindustria francese. Ma non solo loro.

Si raccomanda al governo francese di impegnarsi affinché «le riduzioni del costo del lavoro siano rese definitive e che le evoluzioni del salario minimo siano rese compatibili con la creazione di impiego e la competitività»; e di «rafforzare i legami fra i sistemi di formazione e il mondo del lavoro». Stiamo leggendo le Raccomandazioni del Consiglio europeo e della Commissione alla Francia datate 18 maggio 2016.

Il quadro della nuova governance economica europea conferisce alle istituzioni comunitarie una instancabile attività di vigilanza e sorveglianza dell’attività degli Stati membri: analisi dei conti pubblici, della congiuntura economica, valutazioni, raccomandazioni fioccano a valanga.

Teoricamente dovrebbero servire alla stabilità finanziaria; il problema è che su 5 raccomandazioni del testo citato, due riguardano il lavoro… E non è un caso insolito o singolare: il guinzaglio al bilancio dello stato e le riforme per incrementare la competitività – in specie del diritto del lavoro – rimangono le stelle polari di tutta l’agenda economica dell’austerità targata UE. La quale assume le necessità del mondo della finanza e le inserisce negli obiettivi del governi, aggirando i Parlamenti sovrani: il contenimento della spesa pubblica per far rimanere l’euro una valuta adeguata all’accumulazione finanziaria e il rendere il mondo del lavoro malleabile e plasmabile dalla gestione d’impresa funzionale alla rendita finanziaria degli azionisti.

Lo conferma un altro, lungo, documento del 20 aprile scorso: il Rapporto della Commissione finanze della Assemblea nazionale francese sul «programma di stabilità» e sul «programma di riforme nazionali».

In esso si descrive la cornice intangibile macroeconomica delle politiche pubbliche, definita dal Patto di stabilità, sotto l’occhiuta sorveglianza dell’Alto Consiglio delle finanze pubbliche, un organismo stabilito dal 2012 in virtù del Fiscal Compact. Questo trattato firmato dai governi prevede la presenza di un ente «indipendente» che sorvegli la conformità dei bilanci alla visione europea come spazio politico invalicabile delle istituzioni nazionali…

Questo circolo vizioso fra poteri governativi e istituzioni sovranazionali che si sorreggono mutualmente esclude i parlamenti e la cittadinanza, prende eterno l’orientamento mainstream (il famoso «pensiero unico»…) e disapplica le costituzioni nazionali.

La finanza mira a farsi potere istituzionale permanente e non soggetto a controllo democratico. Speriamo che la radicalità del movimento corrisponda a quella espressa da Lordon (uno degli oratori più seguiti).

Nuit Debout deve rimanere in piedi di fronte alla finanza austeritaria.