È spesso un confine molto sottile quello che separa le promesse dell’utopia dall’annuncio di una minaccia. Così, tra La guerra dei mondi di H.G. Wells che evocava un’invasione della Terra ad opera dei marziani e il recente lancio, per conto della Nasa, della navicella Crew Dragon, prodotta dalla compagnia aerospaziale Space X dell’imprenditore multimiliardario Elon Musk, è difficile capire fino in fondo cosa possa suscitare più inquietudine.

SE IL CELEBRE ROMANZO, fonte d’ispirazione per generazioni di autori di science fiction, prima letterarie e quindi cinematografiche, che, al tramonto dell’età vittoriana che avrebbe annunciato il primo conflitto mondiale, avvertiva sui rischi di guerre sempre più tecnologicamente distruttive, diffondendo per la prima volta la paura degli «alieni» nell’opinione pubblica prima britannica e quindi statunitense – tramite la ripresa radiofonica dell’opera da parte di Orson Welles. O il primo atto di una nuova corsa spaziale che si celebra certamente nel segno dell’entusiasmo dei pionieri ma che si fonda sull’esclusivo interesse nei confronti dei possibili profitti della space economy, annunciando una prospettiva dove anche «gli altri mondi» risulteranno subalterni ad una logica del tutto privatistica.

All’implicita ambiguità di uno dei grandi miti che da oltre un secolo incarnano la capacità, e l’interesse degli esseri umani ad immaginare forme di vita simili o divergenti dalla loro oltre il pianeta che hanno plasmato, con le evidenti conseguenze del caso, a loro immagine, è dedicato L’altra Terra di Daniele Porretta, pubblicato nella collana Stories della Luiss (pp. 132, euro 15).
Con la curiosità dell’appassionato e il metodo dello studioso Porretta, docente all’Elisava di Barcellona e storico dell’architettura e dell’urbanistica, indaga «l’utopia di Marte» proprio muovendo dalle testimonianze letterarie dell’età vittoriana per giungere all’odierna stagione del New Space.

LE INTUIZIONI degli astronomi, le prime sommarie ricerche scientifiche, perfino l’interesse dei circoli sorti intorno alla passione fin de siècle per lo spiritismo si intrecciano con la costruzione di una «mitologia marziana» passata dall’utopia religiosa di C.S. Lewis, l’amico-rivale di Tolkien a Oxford, che nel 1938, in Lontano dal pianeta silenzioso, aveva creato un personaggio che voleva portare la specie umana a colonizzare altri pianeti per «garantirne l’immortalità», alla critica corrosiva di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, pubblicato da Philip K. Dick nel 1968, dove l’androide Pris Stratton ricorda la sensazione di solitudine e la necessità di assumere droghe per sopportare l’ambiente ostile della «Nuova America» che il governo degli Stati Uniti ha creato nelle colonie off-world di Marte.

LUNGO L’ARCO di più di un secolo, il pianeta considerato sotto molti aspetti più simile alla Terra, ha assunto di volta in volta anche la fisionomia del luogo dove potesse realizzarsi l’«utopia della ricostruzione», dove l’umanità avrebbe potuto ripartire da zero dopo l’apocalisse nucleare o distruzioni ambientali irreparabili: un «pianeta-rifugio» dove rifugiarsi una volta «consumata» la Terra. «L’aspetto più affascinante di questa storia – sottolinea Porretta – risiede nella capacità che ha avuto il pianeta di rappresentare una sorta di “anti-Terra”, topos che ha visto alternarsi racconti utopici e distopici, ed espediente letterario per parlare di conflitti politici e problemi sociali (l’alieno come straniero), di questioni etiche (l’antropocentrismo e la colonizzazione spaziale) e tecnologie future, e di immaginare un futuro habitat umano».

Se ha nutrito a più riprese i fantasmi xenofobi dell’«invasione», specie negli anni che hanno segnato la fine del colonialismo come in quelli della Guerra fredda, «il mito» di Marte è stato del resto utilizzato anche dalla propaganda bolscevica che già nel 1908, per mano dello scienziato e scrittore Aleksandr Bogdánov, autore del romanzo Stella rossa, immaginava lo sbarco su un pianeta dove il comunismo era già realtà.

Ma se L’altra terra da conto con grande precisione di ciò che guardando al pianeta rosso si è scritto e fantasticato fino ad oggi, è certo che nell’età dell’antropocene e della ripresa delle esplorazioni spaziali, di quel capitale simbolico ci si tornerà a servire. In un modo o nell’altro.