A passare in rassegna la sua mastodontica bibliografia si rimane quasi interdetti. Rimane la cifra di un impegno intellettuale iniziato più di una settantina d’anni fa e che si è concluso solo con la sua morte, avvenuta domenica a Camogli, all’età di 92 anni. Giorgio Galli, politologo e storico, era nato a Milano il 10 febbraio 1928. Dopo gli studi in giurisprudenza alla Statale di Milano per molti anni aveva insegnato scienza delle dottrine politiche nella stessa università. Anche in tale veste, dividendosi tra l’attività di ricerca, quella di didattica, la divulgazione e la pubblicistica, aveva costruito un percorso di studi estremamente differenziato che, per più aspetti, ne ha contrassegnato la ricca, e a tratti eterogenea, traiettoria culturale. Caratterizzata sempre dall’attenzione verso pubblici eterogenei, in stagioni politiche e intellettuali a loro volta diverse.

SIGNIFICATIVO IL FATTO che per un quinquennio sia stato direttore del periodico il Mulino, autorevole ma anche e soprattutto libera arena di confronto tra intellettuali di diversa estrazione, con un forte debito verso le scuole di pensiero non esclusivamente nazionali. Molti tuttavia lo ricordano come colui che formulò il «bipartitismo imperfetto», una chiave di lettura che ebbe a suo tempo, ovvero a partire dalla metà degli anni Sessanta, un buon riscontro pubblicistico. L’ipotesi che la sorreggeva era che il sistema politico italiano fosse connotato dalla prevalenza di due grandi partiti di massa, quello democristiano e il comunista, titolari di due subculture diffuse e stabili, destinate in qualche modo a neutralizzare o depotenziare le spinte alle trasformazioni che si sarebbero potute altrimenti produrre nel corso del tempo. L’imperfezione di questa condizione derivava dal fatto che, mentre la Democrazia cristiana era garante del sistema di fedeltà alla sfera di influenza occidentale, il suo maggiore antagonista, il Partito comunista, identificandosi con quella di osservanza sovietica, era condannato ad una sorta di rappresentanza senza sbocco, ossia destinata a non accedere pienamente alle funzioni di governo. Un fatto che, nella lettura di Galli, implicava la propensione comunista ad alimentare una retorica antisistemica e, nel caso democristiano, a cristallizzare le sue reti di potere.

Si trattava di una lettura che privilegiava l’omeostasi del circuito rappresentativo, la sua propensione ad un equilibrio incerto, quindi l’incapacità degli attori in campo nel cogliere e nell’indirizzare i mutamenti profondi che invece stavano intervenendo nella società italiana. Come spesso capita alle formule di abituale ricorso, ebbe quindi un’ampia fortuna nella stampa periodica. Alla quale Galli collaborava diffusamente, come nel caso di Panorama, il settimanale sul quale, in epoca precedente alla sua berlusconizzazione, tenne per lungo tempo una rubrica molto letta ed apprezzata. Oppure sul mensile Linus, diretto da Oreste Del Buono, vero e proprio tempio della cultura pop di matrice progressista. Per un accademico di vaglia, ciò costituiva al medesimo tempo l’occasione per dichiararsi libero da scuole e dottrine di sorta così come l’elemento di ancoraggio alle sensibilità, non solo giovanili, che il nostro Paese ha manifestato nella sua evoluzione dagli anni della contestazione in poi.

VI FU QUINDI una sorta di linea di continuità tra il Galli politologo della grande stagione della prima repubblica, dove il suo lavoro si declina essenzialmente sull’analisi comparata dei partiti politici e delle loro culture di riferimento, e il Galli storico e antropologo che, dagli anni Ottanta, diventa l’eclettico studioso che si concentra sui sistemi simbolici, a partire da quelli prodotti dai regimi antidemocratici. Un po’ come un sismografo involontario, in tale modo registra, con il cambio di passo nelle sue attenzioni, gli aspetti indecifrabili delle trasformazioni che portano allo stato presente delle cose. La sua attenzione per l’occultismo e gli esoterismi si inscrive evidentemente in questo percorso, dove l’indice di riferimento è dato dall’indagine permanente sul rapporto tra dimensione popular, strutture del pensiero collettivo e sistemi di potere. Chi l’ha conosciuto ricorderà comunque per sempre la sua affabile cortesia, la sua enciclopedica erudizione, la sua fantasia sconfinata e illimitata, che nutrivano un’inappagata curiosità per il mondo.