Come i gatti, «il manifesto» probabilmente ha nove vite, altrimenti non si spiega proprio come faccia ad arrivare in edicola ogni mattina. Ma ciò non autorizza nessuno a pensare che i gatti, o questo giornale, siano immortali.

Contemplate dall’esterno, le esistenze povere e avventurose saranno anche romantiche, ma più di tutte le altre sono soggette ai capricci della fatalità. Certamente non siamo i soli a vivere in questa sconcertante e paradossale stabilizzazione della precarietà. Qualunque impresa culturale degna di questo nome, oggi, e non solo in Italia, deve fare i conti con il fatto che un normale giorno di lavoro è il più incerto dei miracoli.

Ogni generazione ha il suo particolare fardello, diverso da quello che si sono portati sulle spalle nonni e padri e fratelli maggiori. Ebbene, a noi è toccata in sorte la mancanza di una qualunque idea di continuità e di durata del nostro lavoro. E’ solo un male ? C’è da sperare di no, c’è da credere che l’impermanenza aguzzi l’ingegno. Ma tutti i gatti hanno bisogno di mangiare, per il semplice fatto che non sanno mai con esattezza quante vite hanno già sprecato. E per questo felino sempre a dieta che è «il manifesto» gli abbonamenti sono un cibo veramente prelibato.

Abbonarsi è un modo di partecipare direttamente, intimamente, alla vita del giornale, farlo proprio nel senso letterale della parola. Ed è qualcosa che si può, una volta tanto, possedere con orgoglio, perché quello che si trova in queste pagine, non si trova da nessun’altra parte. Ma a sedersi sugli allori, ci si punge solo il sedere. Meglio guardare al futuro, e non perdere mai l’occasione di compiere quei gesti che si ostinano a rendere possibile l’impossibile.