Michele Stinelli, probabilmente Michele Lombardi, in arte Ele D’Artagnan per la sua partecipazione a un film spagnolo sui moschettieri, nacque a Venezia nel 1911 figlio di una «donna che non vuole essere riconosciuta» e portato all’orfanatrofio S.Maria della Pietà di Venezia. È stato trombettiere nella fanfara «del Re e del Duce», piazzista, presentatore di varietà, pittore, figurante-comparsa a Cinecittà in una quarantina di film, tra cui 5 di Fellini, ha conosciuto tra gli altri Salvador Dalì, De Chirico, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Marcello Mastroianni, Domenico Modugno, Mina. Molti anni della sua vita li ha vissuti «senza una lira» in una baraccopoli a Roma posta dove ora sorgono le scuole in via Bargoni, di fronte alla sede de il manifesto.

É morto nel 1987 e ha lasciato i suoi quadri a Pietro Gallina, che vendendoli ha potuto comprare un grande edificio a Salvador de Bahia per farne sede nel 2005 dell’Icbie (Istituto Culturale Brasile Italia Europa, www.icbie.net/?lang=it) intitolato a D’Artagnan. L’Icbie, nel quartiere periferico Ribeira, ha lo scopo di «offrire ai giovani del posto gli strumenti culturali per uscire da una condizione di ignoranza e di poverta’ fisica e spirituale». Due pagine sull’Icbie sono uscite nell’Alias del 7 luglio scorso.

A Pietro Gallina la parola sul suo amico D’Artagnan.

Quando lo hai conosciuto?

Alla fine del 1953 Ele D’Artagnan cercava un posto dove stare. Mia madre affittava tre brande in una stanza nell’appartamento dove abitavamo vicino al Campidoglio, al n.10 di via San Giovanni Decollato. Sono nato lì e ci ho vissuto per 26 anni, fino a quando, nel 1974, un centinaio di celerini mi hanno sbattuto in strada per la deportazione del popolo romano dal centro verso i quartieri dormitorio. Io sono il penultimo di sei figli. D’Artagnan è venuto ad abitare lì. Si è presentato come attore, al momento disoccupato. Quando l’ho visto per la prima volta era un signore dall’andamento strano, passava a Piazza della Consolazione nel momento in cui prendevo la mira per tiragli dei cartoccetti con la cerbottana, e lui aveva cominciato a «smadonnare» contro noi ragazzini, nascosti dietro i cespugli della Rupe Tarpea intenti a colpire i passanti. Quando sono tornato a casa chi se lo sarebbe aspettato di ritrovare D’Artagnan! Era venuto a chiedere il letto in affitto. Stava nella camera con altre due persone, il bagno era in comune. A volte si mangiava insieme, a volte mangiava solo sulla sua brandina. É arrivato raccontando mille storie, aveva una parlantina meravigliosa, diceva che avrebbe lavorato a Cinecittà, che stava facendo un film, e Sofia Loren, e Gina Lollobrigida…e noi poveracci a sentirlo! Era sempre ben vestito. Piano piano siamo diventati amici. Quel giorno stesso mia madre stava facendo le carte a un cliente; lo faceva a pagamento. Anche D’Artagnan aspettava di farsi leggere le carte. Mia madre ci credeva alle carte, io no. Tutti quelli che andavano da lei dicevano che ci indovinava. Una volta mi ha ripetuto non uscire di casa perché aveva letto le carte… avevo 15/16 anni: sono andato a giocare a pallone e sono ritornato con una gamba rotta.. «te l’avevo detto…».

D’Artagnan ha vissuto da noi da 1953 al ’56 più o meno, poi ha avuto un grande litigio con un altro ospite, un siciliano mafioso, piccolino, con la pistola sotto il cuscino, se le sono date di santa ragione. D’Artagnan poteva anche ammazzarlo, e fu così che mia madre non l’ha voluto più in casa. D’Artagnan ha trovato un’altra stanza, là vicino, e ci s’incontrava al bar della zona, ogni tanto veniva a trovare mia madre perché gli era simpatica, e spesso mi portava in giro: un ragazzino povero inteneriva sempre in quei tempi difficili. Andavamo a chiedere lavoro per lui, soldi e quando c’era molta fame si andava nelle trattorie a dire «gentili signori c’è questo ragazzino che ha fame…», il che tra l’altro era vero. Non solo in trattorie della zona, ma in tutta Roma! Camminava come un pazzo, a 8 anni conoscevo Roma come nessuno al mondo. Certe volte si portava degli oggetti da vendere, chincaglierie, medaglie, non so dove le prendesse.

Siamo andati anche alla Rai in via Teulada, era facile entrare allora, lui aveva fatto qualche Carosello e lo si vede in qualche sceneggiato con Ernesto Calindri, con Enrico Maria Salerno. Poi negli anni ’70 c’e’ stata alla Rai una specie di chiusura, controlli su tutti, permessi da richiedere. Prima si poteva entrare da tutti i portoni, andavamo nelle parrocchie, nei conventi, siamo stati anche dal cardinale Tisserant, alle elemosinerie vaticane si prendevano 10 mila lire. Roma era molto aperta, monsignori e cardinali ricevevano in un salottino. I partiti che non davano nemmeno un centesimo erano il Psi e il Pci. Una volta siamo andati alla Camera dei Deputati e D’Artagnan mi ha detto aspetta qui… è tornato con 10 mila lire dategli da Andreotti e un biglietto – che ho ancora – con poche parole firmato da Andreotti. Ho girovagato per Roma con lui fino ai 10/11 anni, soprattutto nelle vacanze scolastiche o quando marinavo la scuola. Una volta ci facemmo una magnata spaventosa. Nello sceneggiato Rai L’Isola del tesoro lui aveva fatto la parte di uno dei pirati e dice due parole: «sì, sì, è morto». Era il 1959 e e ci fu la cena al Pastarellaro in Trastevere con tutta la troupe. Al tavolo centrale c’era il regista Anton Giulio Maiano e gli attori principali. Io stavo vicino a Corrado Pani. Anche tra le braccia di Fellini sono andato a finire, quando ancora non aveva fatto La dolce vita. D’Artagnan mi portò sul lungotevere dietro piazza in Piscinula dove c’era la casa del fratello di Fellini. Nella stanza c’era un gruppo di uomini, molti fumavano, faceva freddo e D’Artagnan dopo un po’ che tutti mi guardavano esclama: «eh questo qui con me diventerà un piccolo attore». Fellini mi prese in braccio, mi diede un cioccolatino ed è finita lì. Io nemmeno sapevo chi fosse Fellini e D’Artagnan mi ha rotto le scatole per tutta la vita con «ma io ti ho portato nelle perfino nelle braccia di Fellini e tu mi lasci così, dammi qualcosa», questo lo diceva quando ormai ero grande e mi veniva a visitare, perché alla fine cercava pure da me un piatto di pasta. Ed era felice poi più per la compagnia che per la pasta. Peregrinazioni in tutta Roma, dalle suore, politici, Covelli del partito monarchico, D’Artagnan faceva sempre il monarchico ma non era fascista, era uno che amava il re come un inglese ama Elisabetta, e ce l’aveva a morte con la Democrazia Cristiana. Scrive dappertutto anche sui quadri «questi ridicoli, questi sporchi, questi bavosi…». Alla fine della sua vita ha cominciato ad avere una simpatia per i socialisti, dopo il ’68 era un po’ cambiato.

Una volta nel 1958/59 stavamo attaccando dei volantini del partito monarchico in via del Corso. Io non sapevo nemmeno cosa fosse il partito monarchico, ci davano un po’ di soldi per attaccarli, e arriva uno della Dc e mi dice «basta ragazzino sono passati questi tempi, togli questi manifesti dal muro» e mi dà uno spintone. D’Artagnan arriva e boom gli dà una pizza che lo stende a terra. É arrivata la polizia, ci ha portato in questura al Collegio Romano e D’Artagnan ha descritto quello che era successo. Il commissario replica che dovevamo avere un permesso per i manifesti ma D’Artagnan con garbo fa presente: «sì, ma questo signore arriva e dà una botta a un minorenne e lo sbatte per terra, le sembra giusto?». Aveva una parlantina inesauribile, alla fine il democristiano l’hanno trattenuto e a noi ci hanno lasciato andare. Questo era D’Artagnan in quegli anni, poi col cinema, la tv ha avuto un po’ di fortuna.

Agli inizi degli anni 60 è tornato a Venezia per rintracciare la madre che non ha mai conosciuto…

Nel 1962 o ’63 tornò a Venezia, entrò nella stanza del direttore dell’orfanatrofio di S. Maria della Pietà, che lo conosceva perché D’Artagnan aveva vissuto lì fino ai 16/17 anni, chiuse la stanza e lo preso per il collo. Lo strinse quasi a soffocarlo chiedendogli il nome della madre, e alla fine il direttore scrisse il nome e cognome della madre su un pezzo di carta che ancora ho. Intanto fuori tutti avevano sentito le grida e la lite e lui è scappato dalla finestra. La madre era già morta, lui aveva all’epoca oltre 40 anni. Nel 1963 o ’64 fu arrestato, gli hanno dato 3 mesi per aggressione e poco dopo un altra condanna per diffamazione contro la famiglia di sua madre, Elena Lombardi. Questo è successo perché saputo il nome della madre è andato dalla famiglia Lombardi, una delle famiglie più ricche di Venezia, avevano lo storico caffé Florian sotto i portici di piazza San Marco, ma i Lombardi non hanno voluto dargli niente. Elena Lombardi era sposata con tale Spigolon che viaggiava spesso. Il bambino non fu riconosciuto dalla mamma probabilmente perché adultera.

D’artagnan si presentò a Carlo Lombardi, fratello di Elena, che non volle saperne niente. Se fosse vero che Elena era sua madre, cosa che io credo all’80%, i Lombardi temevano di dover dargli una parte delle sostanze ereditate dal padre di Carlo. L’unica prova che abbiamo sulla madre di D’Artagnan è quanto detto da quello che è stato mezzo strangolato. Io 15 anni fa sono stato a Venezia all’orfanotrofio per farmi confermare il nome della madre, ma c’era il segreto. Ora che se sono passati 70 anni, pare che per legge si possono avere questi nomi. Se andassi di nuovo a Venezia facendo tutte le trafile burocratiche probabilmente potrei sapere… ed è quello che dovrò fare.

A un certo punto vi siete persi di vista?

Sì dopo le cause a Venezia nel 1966 è tornato a Roma. Ha avuto una parte con Fellini in Amarcord, nella Città delle donne, in Casanova, tutte particine, poi negli anni 70 anche in L’uomo dei 5 palloni di Marco Ferreri. Prendeva 70/100mila lire, a volte era qualcosa di più di una comparsa, doveva anche dire due battute. Quando da ragazzino andavo con lui a Cinecittà mi divertivo un mondo a vedere i set dei film, gli antichi romani, le spade, e poi c’era il cestino col pranzo che rimediava anche per me. Quando alla fine degli anni 60 Cinecittà si è svuotata, D’Artagnan ha cominciato a disegnare. Un mio amico lo introdusse alla mostra dei 100 pittori a via Margutta, e a quel punto ha cominciato ad essere quello che vende per mille, 2 mila, 3 mila lire che a quel tempo non erano tanto poco. C’è stato un periodo che non voleva vendere i suoi quadri perché diceva che in essi c’era la sua anima, li riteneva suoi diari intimi, segreti, ma quando era proprio a zero li vendeva. A volte senza denari dipingeva su cartoni, manifesti, locandine che prendeva nei cassonetti in strada. Nelle trattorie spesso pagava con i suoi disegni. Nella sua pittura c’è tutto tranne la cattiveria, c’è un mondo come lui avrebbe voluto che fosse, tutto a colori. Sono quadri allegri e anche ironici, in quasi tutti c’è qualche fallo o elementi erotici, la natura e la vita sono belli anche per questa esplosione erotica. Questo lo accomuna a Fellini, spesso disegnavano insieme, facevano sfide: «oggi ho battuto Fellini, abbiamo fatto due disegni e tutti hanno detto: è meglio quello di D’Artagnan!».

Negli anni 70 avete continuato a frequentarvi?

Nel 1974 con amici abbiamo aperto la «Trattoria degli studenti» a via Galvani e lui diventa uno della trattoria, mangia e beve da noi, ci dà una mano ogni tanto, a una festa fa uno spettacolo. Al Beat 72 di Simone Carella partecipò a un mio spettacolo, Fase Seconda, presi il titolo da un saggio sulla musica contemporanea di Mario Bartolotto. La pièce era una composizione che usava strumenti in maniera non convenzionale, un ventilatore acceso sul pianoforte, la musica casinara dei miei studenti amici del conservatorio, e D’Artagnan recitava una parte dal Guerin Meschino come voce di fondo.

Quando nel 1980 la trattoria ha chiuso il nostro gruppo musicale Spettro Sonoro affittò uno scantinato in via degli Zingari dove facevamo le prove. Quando D’Artagnan si trovò di nuovo per strada, per la distruzione della baraccopoli, ho chiesto agli altri di farlo dormire là, e così è andata per qualche mese, finché un bel giorno si è chiuso dentro e non ha più aperto. Abbiamo smesso di pagare l’affitto e quando infine D’Artagnan uscì gli trovai un altro posto, ma lui non ci volle stare perché quel magazzino non aveva una chiusura ermetica, come nello scantinato. Anziano, stanco, senza lavoro, aveva moltiplicato i complessi di persecuzione: temeva che l’avrebbero ucciso quelli della famiglia Lombardi. Ma in mezzo a tante paranoie riusciva anche all’improvviso ad essere davvero divertente, ti facevi un sacco di risate con lui. Nei lunghi giri per strada i nostri stop erano sempre biblioteche, mostre, specie d’inverno, dove ci si riscaldava oppure si leggeva. Io non leggevo bene ma prendevo le enciclopedie e guardavo le figure. Lui aveva i suoi libri, aveva una vasta cultura, si metteva a piangere su certi libri.

L’ultima volta che l’hai visto?

Ero in viaggio da circa tre mesi, quando sono tornato, era il 1984, ci siamo visti vicino a piazza del Testaccio, e lui: «io ti mando in galera…ti uccido…» negli ultimi anni aveva sempre con sé un fioretto avvolto in giornali con l’ombrello. Gli chiedo: «dove abiti adesso? – «non ti dico niente, tu mi mandi quelli del Kgb o della Cia», non si fidava più di nessuno, ma come gli offrivo qualcosa in trattoria riprendeva calore, tornava allegro, fiducioso, da una situazione di completo isolamento ritrovava un amico, una storia comune di tanti anni, e per qualche ora superava la paranoia. É in questo periodo che mi ha dato la lettera in cui mi affidava i suoi quadri.

Anni dopo, di ritorno da un altro viaggio, sono andato a cercarlo a piazza Ippolito Nievo, là lo conoscevano, c’era quello che gli riceveva la posta, il bar, i suoi luoghi, dove ora c’è la sede de il manifesto. Era la sua zona, e lì mi hanno detto guarda che è morto, in via Enrico Bezzi, la parallela di via Bargoni, dentro un cespuglione, evidentemente dormiva là, ma cambiava sempre, aveva paura di agguati, assalti, era il 1987. Aveva 76 anni.

Stinelli o Lombardi?

Le donne che nel 1911 l’hanno portato all’orfanotrofio dissero che secondo la madre si doveva chiamare Michele Stinelli, e così è stato registrato all’anagrafe di Venezia, nome che D’Artagnan ha scritto sempre tra virgolette perché non era il suo nome vero. Ha fatto di tutto per cambiare il suo nome in Lombardi, non c’è riuscito, ma sulla tessera del sindacato degli attori è riuscito a farsi registrare come Michele Lombardi. E quando l’hanno trovato moribondo aveva addosso solo quella tessera. Per cui Stinelli non è mai morto, mentre Lombardi è morto ma non è mai nato… grande D’Artagnan!

La prima mostra dei suoi quadri?

Verso il 2001 venne a Roma una mia amica pittrice di New York che aveva conosciuto D’Artagnan al Testaccio. Quando ha rivisto i suoi quadri ha detto subito facciamo una bella mostra a Roma! Le ho spiegato che Ele mi aveva detto e scritto che la prima mostra dopo la sua morte doveva essere allestita all’estero: l’Italia lo aveva lasciato vivere di stenti e non aveva riconosciuto il suo valore e quindi meglio cercare il successo all’estero e poi tornare vincitore in patria. Questa amica mi invitò allora a casa sua a New York. Accettai l’invito e insieme abbiamo girato tutte le gallerie possibili e immaginabili, tutti dicevano che quei lavori erano interessanti ma non si concludeva niente. Alla fine sono riuscito ad avere un appuntamento col direttore di una Galleria a Tribeca, a soli due giorni dal volo di rientro in Italia. Arrivo alla galleria all’ora stabilita, le 17, e non c’è nessuno. Aspetto e aspetto e alle 19,15 decido di lasciar perdere dicendo a D’Artagnan in cielo: «Ce l’ho messa tutta ma non ci siamo riusciti, peccato!». Appena giro l’angolo vedo questo signore che arriva correndo scusandosi. Entriamo, ci accomodiamo, una birra e come apro la cartella con i disegni di D’Artagnan il gallerista, Kerry Schuss della Ksart Gallery, sgrana gli occhi: «hai fretta?» mi domanda, «nooo!». Si butta sul telefono e poco dopo arrivano altri due. Nei disegni c’erano molte scene erotiche, falli e vagine a destra e a manca, da quelle parti sono molto puritani, ma hanno subito cominciato a discutere sulla tecnica: «questo è gouache, ma guarda usa anche le penne, e poi la matita, l’olio, e questo non è né olio, né gouache, né acquarello, né acrilico, ma che cos’è?». D’Artagnan quando li trovava nella spazzatura usava anche gli smalti per unghie, oltre a quelli che a volte prendeva a mia sorella. «É una tecnica mista incredibile» dicevano entusiasti i tre. Hanno scelto circa 25 pezzi e mi hanno invitato a tornare a giugno per fare la mostra. Era il novembre 2002. Quando sono tornato ne ho portati altri 200 pezzi. Fatta la mostra a fine settembre 2003 articolo sul New York Times della più importante critica di arte Roberta Smith, trafiletti sulla rivista The New Yorker e la Rothschild Foundation compra 5 quadri per donarli al MoMA. Alla mostra ho venduto altri quadri: in sei mesi si è formato un malloppo di circa 300 mila dollari. Mai avuti tanti soldi in vita mia!

E ora D’Artagnan puo’ tornare in Italia da vincitore…

Lo spero, sto cercando di organizzare una grande mostra delle sue opere, forse a Palermo. Ho scritto un libro che racconta della mia lunga esperienza di vita con D’Artagnan, sto cercando un editore.

Per una biografia dettagliata di Ele D’Artagnan: http://www.eledartagnan.com/index.html