Gli impiegati di banca hanno cantato “Bella Ciao” in piazza Affari, colpendo l’immaginario collettivo, alla vigilia dello sciopero di oggi che dovrebbe portare alla chiusura generalizzata di filiali e agenzie da un capo all’altro della penisola. É la prima volta dall’ormai lontano 2004 che tutte le sigle sindacali del settore del credito invitano a incrociare le braccia, in risposta alla disdetta unilaterale del contratto di lavoro fatta dall’Abi, l’associazione delle banche italiane. I sindacati sono convinti che i vertici degli istituti di credito puntino, dopo la scadenza dell’attuale contratto fissata al 30 giugno 2014, a contrattazioni aziendali basate sul “modello Marchionne”. Soprattutto temono che la crisi conclamata dell’intero settore sia fatta ricadere soprattutto sui lavoratori. Così Lando Simeoni, segretario della Fabi, avverte senza giri di parole: “Da gennaio 2010 a gennaio 2020 si perderanno 70mila posti di lavoro”.

Allo sciopero odierno si accompagnano manifestazioni a Roma, Milano, Genova, Padova e Ravenna, la cui Cassa di risparmio è presieduta da Antonio Patuelli, che da gennaio è succeduto a Giuseppe Mussari alla guida dell’Abi. Nel mirino ci sono anche i maxi stipendi dei vertici, e più in generale un modello di banca che punta a utili a breve con la finanza, a scapito di credito a famiglie e imprese. “La crisi globale che ha distrutto nel mondo 40 milioni di posti di lavoro è nata dal comportamento irresponsabile della finanza e in particolare dal crack della Lehman Brothers – ricordano i lavoratori del credito – la crisi è il prodotto di un modello basato sulla creazione del denaro dal nulla, cioè sull’uso della finanza di carta e sul debito che crea profitto per pochi. Lavoratori e risparmiatori hanno pagato i costi causati dagli errori e dalla cupidigia di pochi banchieri. Solo cinque anni fa il sito di Abi ‘Patti Chiari’ garantiva ai risparmiatori italiani che le obbligazioni Lehman erano semplici e a basso rischio, nonostante che sei mesi prima il rischio emittente fosse salito fino al 50%.”.

Al già durissimo scontro sui tagli occupazionali previsti da quasi tutti gli istituti di credito, si accompagna la messa in discussione da parte dell’Abi del fondo di solidarietà interbancario. Si tratta dell’ammortizzatore sociale del settore, che ha permesso ad oggi di “coprire” l’uscita anticipata dal lavoro di quasi 50mila addetti. “Ma oggi l’Abi dichiara ancora esuberi per circa 30mila addetti che sarebbero in eccedenza – osservano Fabi, Fisac Cgil, Fiba Cisl, Uilca, Dircredito e le altre sigle del settore – cancellando dal futuro del sistema 30mila persone definite come ‘culturalmente distanti dalle nuove esigenze’, e rendendo precario il lavoro di quelli che resteranno, vincolandoli a vendere qualsiasi cosa e a qualunque costo”. Di qui la richiesta all’Abi di fare marcia indietro sul contratto: “E il ministro Saccomanni dovrà aprire un tavolo – aggiunge Agostino Megale della Fisac – che consenta come primo obiettivo di arrivare ad un accordo sul fondo di sostegno all’occupazione”.