A scoppio ritardato, lo scandalo delle nomine pilotate al Csm e l’inchiesta di Perugia sull’ex leader della corrente moderata delle toghe Luca Palamara travolge l’Associazione nazionale magistrati. La giunta esecutiva retta in questi mesi di tempesta da tre correnti – Unicost (moderati), Area (sinistra) e Autonomia e indipendenza (Davigo) – è andata in crisi al termine di un lunghissimo e lacerante comitato direttivo centrale durato tutta la giornata di ieri. Alla fine si sono dimessi (quasi) tutti.

DIECI ORE di solenni litigate in videochat, frammentate dai problemi di connessione e da un paio di interruzioni per mettere a punto le strategie di corrente – poi aggiornate in sottofondo in un continuo pigolio di whatsapp.

Toghe associate contro. A scatenare la resa dei conti la nuova tornata di intercettazioni restituita dal trojan del cellulare di Palamara, da qualche giorno scoop quotidiano dei giornali di destra. La corrente più coinvolta nel primo tempo dello scandalo e fuori dal governo dell’Anm, Magistratura indipendente (destra), ha approfittato del coinvolgimento nei colloqui con Palamara di alcuni esponenti di Area (in questo, come in molti altri casi, si tratta di conversazioni prive di rilievo penale) per tentare un ribaltamento della storia. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Così la giunta guidata dal pm milanese Luca Poniz (Area), ferma l’anno scorso nel denunciare lo scandalo, è stata accusata da Mi di voler adesso minimizzare, e di restare in sella per coprire l’impatto delle rivelazioni. In realtà le elezioni per il rinnovo del parlamentino dell’Anm sono state già fissate a ottobre, prima non essendo possibile attrezzare l’infrastruttura per il voto online.

«Questa esperienza non può proseguire, abbiamo smarrito le premesse comuni» ha detto Poniz, che si è dimesso, ma con Area si è astenuto sulla proposta di anticipare le elezioni a luglio. Avanzata da Mi che con Giancarlo Dominijanni, pm a Pisa, ha previsto che «dal telefono di Palamara uscirà di tutto, queste rivelazioni continueranno per mesi. Possiamo solo tentare di salvare l’Anm rinnovandone la guida». «Noi non siamo coinvolti nelle vicende dell’albergo Champagne», ha risposto Area (l’albergo è quello che si trova nei pressi del Csm dove Palamara incontrava l’ex sottosegretario Pd Lotti e il leader ombra di Mi Ferri per decidere le nomine), insistendo a chiedere l’intero fascicolo degli atti di Perugia come antidoto alle rivelazioni a scaglioni. E alla fine si è dimessa anche Unicost, la corrente di Palamara, lasciando l’annuncio al numero due della giunta Anm Giuliano Caputo, pm a Napoli.

IL VOTO A LUGLIO non ci sarà, ma il caos è tale che adesso non si sa come ricominciare. Si sa solo quando; domani sera la riunione del comitato direttivo prosegue davanti agli schermi.

La seduta ha assunto anche toni drammatici, quando la giudice del tribunale di Milano Luisa Savoia di Area ha affrontato il consigliere di corte d’appello di Torino Angelo Renna che in uno dei dialoghi con Palamara pubblicati nei giorni scorsi (ma risalente all’ottobre del 2017) si agitava per ostacolarne la carriera: «Se riuscite a fottere la Savoia sarebbe un gran colpo», la frase di Renna. «O io o lui», ha detto in sostanza ieri Savoia, dando origine a una specie di corpo a corpo mediato dalle webcam (e da Radio Radicale che ha trasmesso il tutto).

Perché Renna si è scusato, ha detto che si vergognava, che anche sua madre si sarebbe vergognata di lui, ma non si è dimesso. Al che è intervenuto in un aggrovigliarsi di microfoni aperti e collegamenti interrotti il giudice di Napoli Giovanni Tedesco, anche lui di Area, avvertendo che se Renna non si fosse dimesso allora anche lui avrebbe lasciato il comitato direttivo per protesta, assieme alla collega Savoia. Citando René Girard e la teoria del capro espiatorio, Renna si è alla fine dimesso. E ha staccato il collegamento.

Gli altri hanno continuato fino alle otto, ma senza uscire dall’angolo. Due correnti, Area e Mi, dichiarano adesso che non entreranno in alcuna giunta, nemmeno per il tempo strettamente necessario ad andare alle elezioni. Al governo delle toghe così c’è una sola corrente, con un solo esponente. A schierarsi contro il voto anticipato e anche contro lo scioglimento è stata infatti solo la corrente di Autonomia e indipendenza dell’ammazzasette Davigo. Strano, o forse no a sentire la motivazione: «L’amaro calice va bevuto fino in fondo, fino all’ultima chat. Il disonore sarà il carburante per la rinascita». Tanto peggio…