Theresa May va avanti a testa bassa, ma politicamente è ormai damaged goods, merce avariata. Ostaggio di un’anti-vittoria che l’ha costretta a elemosinare un governo di minoranza con dieci unionisti nordirlandesi del Dup – gli unici che si siano lasciati avvicinare, – deve neutralizzare fronde interne contro di lei sempre meno sotterranee che non le perdonano di essere andata avanti all’indomani della batosta facendo finta di niente e senza fare pubblica ammenda.

DALLE COLONNE dell’Evening Standard, giornale di proprietà dell’oligarca russo Lebedev (come anche l’Independent), l’ex cancelliere Tory George Osborne, che lo dirige proprio per attaccare l’ex collega, l’ha definita una «condannata a morte». Una tesa riunione con il comitato che si occupa delle elezioni del leader, il 1922 Committee, ieri sera dovrebbe averle concesso respiro. Oggi terrà colloqui con la leader Dup, Arlene Foster. Ma il partito conservatore è in rivolta.

 

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Sommati ai 318 seggi dei conservatori (sui 331 che avevano prima che May convocasse queste elezioni) quei dieci del Dup le danno la maggioranza di 326 che le serve per governare. Un piccolo rimpasto completo di riesumazione di Michael Gove (all’ambiente! Da ministro dell’istruzione aveva tolto il cambiamento climatico dai curriculum scolastici) ma soprattutto il licenziamento dei due rasputiniani strateghi della sua fallimentare campagna, Nick Timothy e Fiona Hill, le consente di prendere tempo. Gli altri ministri sono stati quasi tutti riconfermati, compreso il fino a poco fa emarginato Cancelliere Philip Hammond. Boris Johnson è pronto a subentrare – da anni lo è – ma per il momento accetta l’ineluttabile necessità di sostenere una premier debole e instabile a una settimana dall’inizio delle negoziazioni sulla British Exit. Un regicidio adesso aumenterebbe il rischio di elezioni anticipate capaci di tramortire il partito per una generazione.
Ne consegue la serie di concessioni fatte pur di stabilizzare un’autorità tragicamente traballante. Oltre a governare con gli unionisti del Dup, un impresentabile partito settario e marginale che le legherà le mani e rischia di compromettere gli accordi di pace in Irlanda del Nord con la questione dei confini, ci sarà l’eliminazione di alcune delle proposte più impopolari del programma elettorale, come l’assalto alle pensioni o perle ideologiche come la reintroduzione della caccia alla volpe e delle classiste grammar schools.

INTANTO IL TRIPUDIO di ermellini che è il Queen Speech, il discorso in cui la monarca apre il parlamento enunciando la lista di azioni del «suo» governo, previsto per lunedì prossimo, è stato posticipato a data da destinarsi, pur di guadagnare tempo nel limare gli accordi con il Dup. Dopo, il parlamento avrà una settimana di tempo per dibattere il programma di governo prima di dare un vero e proprio voto di fiducia al May II. Davvero intrigante la giustificazione per il ritardo fornita dalle fonti filogovernative: deve essere trascritto su pergamena e l’inchiostro impiega dei giorni a seccarsi. Non è solo lo spago che tiene assieme questa «coalizione del caos», anche la cartapecora.

SUL FRONTE LABOUR, Corbyn ribadisce la sua prontezza a diventare primo ministro promettendo lotta dura ai Comuni. Ha evangelicamente riaccolto gli ex-cospiratori, soprattutto passati frontbenchers come Yvette Cooper, Chuka Umunna e lo stesso Ed Miliband. «Sono la persona più generosa del mondo, ha detto ad Andrew Marr della Bbc. Alla domanda se ce la fa a reggere una lunga guerra di attrizione ha scherzato: «Mi guardi, ho il tempo dalla mia!». Per il partito la priorità è una «Brexit che tuteli prima di tutto il lavoro» e ha aggiunto che il Great Repeal Bill, la legge presentata in occasione dell’applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona con cui Westminster avrebbe espunto dal proprio potere legislativo le leggi europee e soprattutto della Corte europea di giustizia, «adesso è storia».