È fatta di stracci in faccia la vigilia del “Giorno di Gerusalemme”, una delle ricorrenze più attese dalla destra israeliana (e non solo) vogliosa di ribadire, sfilando nelle strade con bandiere e intonando canti nazionalistici, l’annessione unilaterale a Israele di tutta la città. Nella affollata galassia della destra israeliana lo scambio di accuse è incessante dopo il fallito tentativo del premier incaricato Netanyahu di formare un nuovo governo e la convocazione di nuove elezioni per il 17 settembre. Sotto accusa è Avigdor Lieberman, leader del partito nazionalista laico Yisrael Beitenu, “responsabile” di essersi imputato sulla leva obbligatoria, anche per i giovani religiosi ultraortodossi, al punto da costringere Netanyahu a gettare la spugna. Il più incavolato è proprio il primo ministro. «Lieberman ha sempre sabotato il governo di destra. La sua è una ossessione», è sbottato Netanyahu, «aveva ottenuto tanto, praticamente tutto quello che voleva, ma ora se la prende con gli ultraortodossi dopo aver fatto accordi con loro per vent’anni». Netanyahu, che ha vecchi conti da regolare con il leader di Yisrael Beitenu, è convinto che il fallimento del suo tentativo sia il risultato di una vendetta politica e personale. E con lui si sono schierati due partiti ultraortodossi Shas e Ujt che dicono non voler mai più entrare in un governo assieme a Lieberman. Probabilmente saranno costretti a rimangiarsi queste dichiarazioni.

I sondaggi pubblicati nelle ultime ore dicono che non si potrà prescindere da Yisrael Beitenu che, se si votasse oggi, passerebbe dai cinque seggi conquistati il 9 aprile a nove seggi. Gli altri partiti della destra si fermerebbero tutti insieme a 57 seggi e avranno bisogno dell’appoggio di Yisrael Beitenu per formare una maggioranza. Il sogno di Netanyahu di disfarsi di Lieberman non sembra realizzabile. I partiti ora cercano nuove alleanze capaci di spostare dalla loro parte una porzione degli elettori. Il Likud, il partito di Netanyahu, ha già assorbito il centrista Kulanu (4 seggi).

Sull’altro versante, il centrosinistra e i partiti arabi non andrebbero oltre i 58 seggi e pertanto il laburista Avi Gabbay, il cui partito è precipitato a 6 seggi il 9 aprile, ora parla di fusione con il Meretz (sinistra sionista) oppure con Blu e Bianco, il principale partito d’opposizione guidato dall’ex capo di stato maggiore Benny Gantz. Dovrebbero unirsi anche i partiti arabi, consapevoli di aver commesso un grave errore a presentarsi separati alle ultime elezioni. Ma il loro primo obiettivo sarà quello di convincere l’elettorato palestinese in Israele ad andare alle urne, vista la bassa affluenza registrata due mesi fa nei centri abitati arabi. L’Autorità Palestinese resta in silenzio, non commenta il fallimento di Netanyahu. Però a Ramallah sorridono. Dopo la delusione per la schiacciante affermazione elettorale ottenuta dalla destra israeliana due mesi fa, il presidente palestinese Abu Mazen si augura un risultato diverso a settembre. E spera che il tonfo di Netanyahu congeli anche il piano “di pace” americano, apertamente contestato dai palestinesi.

Intanto si allunga la striscia di sangue palestinese. Ieri due adolescenti sono stati uccisi dal fuoco dei militari israeliani. Abdullah Gheit, 16 anni è stato colpito a morte a Mazmouriya, tra Betlemme e Gerusalemme, mentre tentava, senza permesso, di raggiungere la Spianata di al Aqsa per la preghiera dell’ultimo venerdì di Ramadan. Un altro palestinese, un 19enne, è stato ucciso nella città vecchia di Gerusalemme dopo aver, secondo la polizia, tentato di accoltellare due israeliani. A Gaza, almeno 17 palestinesi sono stati feriti dall’esercito durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno.