«Non firmare l’accordo intergovernativo per la costruzione del nuovo gasdotto, l’East Med-Poseidon». È l’appello diretto al presidente del Consiglio, al ministro dello Sviluppo economico ed al ministro dell’Ambiente da parte di trenta associazioni, nazionali e di varie regioni – dal movimento No Triv ai No Tap, a Stop Ttip Italia – che, in una petizione, ripercorrono le fasi del progetto e ne evidenziano le criticità, condivise anche da esperti del settore oil&gas.

L’infrastruttura, nei piani intergovernativi, dovrebbe rappresentare la principale via per il trasporto in Europa del gas estratto dai giacimenti israeliani e ciprioti del Levante. Il punto di partenza sarà a circa 170 chilometri dalla costa meridionale di Cipro e da qui si dovrebbe snodare nei fondali del Mediterraneo, toccando anche alcune faglie, fino al territorio cipriota, per poi passare per Creta, giungere in Grecia e infine arrivare a Otranto. Di nuovo a sfregiare le splendide coste del Salento.

«Un’opera imponente – spiega Enrico Gagliano, del coordinamento nazionale No Triv – con i suoi 2.200 chilometri: sarebbe il condotto più lungo del mondo. Fortemente sponsorizzato dall’Unione europea e che fa comprendere molte dinamiche politiche, anche nel settore energetico, degli ultimi anni». Come il riacutizzarsi dello scontro fra Cipro e Turchia e fra quest’ultima e la Grecia; l’ascesa dell’Egitto quale hub del gas di molti Paesi, tra cui Israele.

Stando a fonti estere, anche di stampa, la firma dell’accordo tra i Governi promotori – Italia, Cipro, Grecia ed Israele – dovrebbe aver luogo entro il 31 marzo in un luogo non precisato della Grecia. Secondo le associazioni scese in campo, fermare East Med costituirebbe «un importante, ma non risolutivo, punto di avanzamento… Come in un macabro gioco di scatole cinesi, – viene fatto presente – la vicenda del nuovo gasdotto, assieme a quella della diffusione di liquefattori e rigassificatori in tutto il Mediterraneo (Stivale compreso), va valutata all’interno di una questione più ampia, che concerne il ruolo preminente del gas nelle strategie e nelle politiche energetiche globali dell’Unione Europea da qui al 2050».

L’iter autorizzativo della parte italiana dell’opera si è già concluso positivamente nel 2014, con Berlusconi, e nel dicembre del 2017 le parti hanno sottoscritto un protocollo d’intesa. «Entrambe le circostanze, tuttavia, – si ricorda – non vincolano il Governo attuale alla firma dell’accordo». A favore, in occasione della sua recente missione in Israele, si è espresso il vicepremier Matteo Salvini, che ha invitato ad investire nel progetto: «C’è l’ipotesi di un gasdotto che da Israele potrebbe arrivare fino al Sud Italia. Chiederò alle nostre aziende e agli imprenditori di cooperare e collaborare», ha detto.

Numerose e diverse le ragioni che inducono a chiedere di recedere dal progetto. «La principale tra tutte – spiegano le associazioni – è il contenimento del surriscaldamento del Pianeta, che ci impone di agire entro il 2030. Non si può pensare di utilizzare il gas naturale, che nei primi anni del suo ciclo di vita ha un effetto climalterante di gran lunga superiore a quello del petrolio, quando dovremmo raggiungere il traguardo “emissioni zero”. Da considerare, poi, gli elevati costi di manutenzione correttiva del tratto del gasdotto tra Cipro e Creta, a causa dell’irregolarità dei fondali marini e della sismicità della zona. Inoltre – viene sottolineato – il prezzo del gas dei giacimenti del Mediterraneo e i costi di trasporto non sarebbero concorrenziali. C’è l’irrilevanza delle forniture di East Med (15/20 miliardi di metri cubi ogni anno) rispetto ai 360 miliardi di metri cubi di gas importati dall’Unione nel 2017. E bisogna tener conto – si fa ancora presente – dell’insicurezza degli approvvigionamenti: ad oggi East Med riuscirebbe a trasportare solo parte del gas estratto nell’off shore di Israele (gas di Tamar al 100% e parte della produzione di Leviatano)». I fautori di East Med, precisano le associazioni, «possono solo sperare che a Calipso si aggiungano nuovi giacimenti ancora da scoprire, tant’è che sia Cipro sia Israele stanno lanciando nuove campagne internazionali, ma ci sono da mettere in conto le rivendicazioni della Turchia sui giacimenti di Cipro. Abbiamo forse dimenticato l’atto ostile nei confronti di Eni, nel febbraio 2018, quando la nave Saipem 2000 fu costretta a lasciare le acque di Cipro?».

Secondo numerosi osservatori si tratta di un progetto «praticamente morto» e dai costi esorbitanti, circa 7 miliardi, che potrebbero salire anche ad 8/10. «Per quale ragione – viene chiesto – l’Italia dovrebbe continuare a dare il suo sostegno ad un progetto rischioso, dispendioso e a forte impatto ambientale, se tra l’altro finora non si è fatta avanti nessuna delle major petrolifere?».