Da settimane qui nel cohousing Lola non cena più con noi. Torna tardi la sera dal lavoro. Addio babà al rhum, addio caffè e chiacchiere.

Lola coordina un centro SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati). Lo SPRAR costituisce un progetto di centri di accoglienza per persone che fuggono da zone di guerra, tortura e fame. È finalizzato all’integrazione sociale ed economica, e attualmente deve supplire sempre più alle carenze del sistema primario e immediato dell’ accoglienza (attuali CARA) per il numero crescente dei rifugiati. Lola, con passione, mi racconta che lo SPRAR oltre che a fornire vitto e alloggio, lavora per l’accesso ai servizi socio-sanitari, per l’apprendimento dell’italiano, per l’istruzione scolastica di adulti e minori, per promuovere inserimento lavorativo.

Impresa difficile , quasi impossibile ora che il numero richiedenti asilo è divenuta emergenza quotidiana.

Dice che nel 2014 vi è stato ampliamento nazionale dei posti SPRAR da 3000 a 14.000 posti e aggiunge: «ieri alle cinque del mattino accoglievamo 30 rifugiati da Lampedusa, un viaggio di 2 giorni in pullman, senza contare i mesi di fuga in condizioni disperate dai loro paesi».

Parla Lola, donna forte, con gli occhi appannati di lacrime: «non puoi più dimenticare: affamati, pochi cenci addosso, pezzi di gomma ai piedi, quando va bene. In fila con lo sguardo sperso, vuoto e tutti camminavano così…». Mi mostra quell’andare a piccoli passi, brevi, ricurvi, lenti: «sai, lo stesso della gente nei lager, o nei manicomi. Non so come faremo».

E il mio ricordo va gli anni 80 a Trieste, patria di Basaglia, all’inizio del mio lavoro in Psichiatria, ai convegni nella sala sul molo sferzata dalla bora, alle parole di Paolo Cendon (Professore universitario di Diritto Privato) sui diritti dei soggetti deboli: «diritto alla vita, in primo luogo, all’integrità fisica e psichica, alla salute, alla libertà di movimento. Diritto a ricevere le cure necessarie e non essere abbandonati durante la loro esecuzione, a non subire trattamenti violenti». Quanto attuali quelle parole!

E narro a Lola quanta fatica e quanta tenacia nella psichiatria di questi decenni. E oggi i manicomi sono chiusi. Il 19 Aprile apprendiamo di un’altra tragedia: ancora 900 rifugiati muoiono in uno dei viaggi del mare. Qui a Orosia la casa diventa vuota e silenziosa. Il buio si allarga dentro e intorno. Apro le finestre a cercare luce e le stanze si inondano delle immagini dei racconti di Lola. I profili dei campi e delle montagne non hanno più chiarezza, non ci sono più colori. La terra scivola smarrita nell’acqua scura. Quando scrivo è il 25 Aprile, giorno della liberazione: orgoglio civile e storie di coraggio e dolore.

E oggi il Paese è libero. Sino a che ci saranno uomini e donne disposti a sacrifici per amore degli altri, della libertà e della giustizia, c’è speranza di civiltà. È un percorso che ogni volta va reinventato e ricominciato, in condizioni diverse. Ernesto ci tiene sempre a festeggiare questa giornata e prepara pizza per tutti. Metto da parte una grossa e saporita fetta per Lola. La troverà stasera, quando rientra, con un bigliettino: «razie e resisti. Un abbraccio».