Entro pochi giorni i partiti catalani devono decidere come presentarsi alle elezioni regionali indette dal governo centrale per il 21 dicembre. Se presentarsi pare sia una questione che nessuno più si pone, eccezion fatta per gli anticapitalisti della Cup, all’interno della quale il confronto è in corso. Un margine di incertezza su tutto lo schieramento secessionista c’è ancora, in realtà: se le cose sul versante giudiziario dovessero precipitare, anche il PDeCat di Puigdemont e l’Esquerra republicana dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras potrebbero decidere di boicottare le urne ufficiali e convocare un’assemblea costituente alternativa. Ad oggi è un’ipotesi assai remota, ma impossibile da scartare davvero al 100%.

Se tutto andrà invece come appare più probabile, dovranno essere sciolti in fretta alcuni nodi politici che lo schieramento separatista si trova di fronte. La sostanza è presto detta: si presenterà con una lista unica oppure ogni forza andrà per sé? O, terza variante, ci sarà una riedizione della coalizione elettorale Junts pel Sì fra i suoi due partiti maggiori, con la Cup per conto proprio? Il dibattito è aperto. Le associazioni indipendentiste della società civile, Anc e Òmnium, chiedono a gran voce una sola lista che sia simbolicamente guidata dai «due Jordi», i rispettivi leader che si trovano in custodia cautelare in carcere. Oggi ci sarà una riunione fra le due organizzazioni civiche da una parte e il PDeCat ed Esquerra dall’altra, da cui potrebbero venire indicazioni importanti.

La sensazione prevalente fra gli osservatori è che nei due partiti che hanno retto il governo catalano fino all’applicazione dell’articolo 155 prevalga l’orientamento a presentarsi in solitaria. Esquerra è data in testa dai primi sondaggi che cominciano a circolare (27%), e la voglia di risultare il partito «vincitore delle elezioni» ed esprimere il possibile nuovo capo dell’esecutivo regionale è molto alta. Si tratterebbe di un fatto storico: l’ultimo esponente di Esquerra a guidare le istituzioni catalane fu Josep Tarradellas, leggendario presidente della Generalitat in esilio durante il franchismo, il cui rientro nel 1977 fu uno dei simboli della fine della dittatura. Ma anche il PDeCat, nato dalle ceneri del centro-destra di Convergència, sembra avere interesse a correre con le proprie insegne, con l’obiettivo di riconquistare una fetta di elettorato nazionalista più moderato: è la linea di Santi Vila, l’unico membro del governo di Barcellona ad essersi dimesso in polemica con la dichiarazione unilaterale di indipendenza, che potrebbe guidare la formazione di cui fa parte Puigdemont. Per le inchieste d’opinione ora è al 10,9%, mentre alla Cup è attribuito il 6,4%. La somma degli indipendentisti sarebbe quindi intorno al 45%, circa due punti in meno rispetto al turno precedente.

Sull’altro versante sembra tramontata subito l’ipotesi di una lista unitaria fra i partiti costituzionalisti, Ciudadanos, Psoe e Pp. L’avevano avanzata alcuni esponenti della vecchia guardia socialista, come l’ex presidente dell’Estremadura, proponendo che alla sua testa venisse designato Josep Borrell, carismatico socialista catalano ex presidente del Parlamento europeo, molto attivo nella lotta all’indipendentismo.

Fuori dai blocchi, lo spazio politico che si riconosce in Ada Colau e in Podemos, che per i sondaggi oggi vale il 10,7%: percentuale non alta ma che potrebbe rivelarsi decisiva per uscire dal muro contro muro e cambiare «schema di gioco». È la difficile scommessa dalla cui riuscita dipende, forse, l’uscita dal labirinto.