Ci sono caduti, più o meno consapevolmente, in tanti e ci è caduta in questi giorni anche la chiesa, che di rapporto con la politica ha un’esperienza non da poco: è possibile davvero avere a che fare col Movimento 5 Stelle, senza scadere nella demonizzazione o farsi sussumere dalla potenza del brand che lo anima?

Mescolando il massimo della trasparenza e il massimo dell’opacità, unendo la gestione assolutista e il dipanarsi orizzontale dello spontaneismo, il primo partito italiano è un oggetto misterioso, un blob/blog che fagocita pezzi all’apparenza inconciliabili di discorso. Al tempo stesso, chi ha il compito di narrare il M5s sconta la difficoltà di dare continuità e coerenza ad una cronaca quotidiana e seriale che pare esserne priva.

IN «TUTTI A CASA», film documentario sul Movimento 5 Stelle, in uscita domani, la regista danese Lise Birk Pedersen guadagna un punto di vista non banale: ha il permesso esclusivo di filmare le vite di quattro parlamentari appena eletti, seguendoli persino nelle caotiche riunioni che accompagnarono le prime decisive mosse delle truppe grilline. Paola Taverna, Luis Orellana, Alberto Airola, Mario Giarrusso finiscono sullo scranno parlamentare direttamente dal tinello di casa, senza una base collettiva cui fare riferimento, sulla scia della frustrazione e delle sconfitte degli ultimi venti anni.

I QUATTRO SI TROVANO protagonisti e cavie di una specie di esperimento sociologico. Scoprono di non essere solo testimoni per conto della «gente» ma di dover decidere il futuro del paese.

SONO PASSATI quattro anni e pare trascorsa un’era geologica: il film mostra le discussioni accalorate a proposito dell’offerta di Bersani di formare un governo. Persino la tetragona Taverna è tentata, teme che un disimpegno grillino possa far tornare l’odiato Berlusconi al governo. Qui si aprono le prime crepe, con l’intervento dei vertici che ricordano i contratti firmati dai candidati e decretano le epurazioni esemplari. Allora Taverna, splendida maschera tragicomica postpasoliniana, si ricorda degli ottocento euro al mese che guadagnava prima di scoprire Grillo e non esita a mettersi dalla parte dei fondatori: «Voi state qui per grazia ricevuta – strepita – State a sputa’ nel piatto in cui se magna».

LA TELECAMERA si sposta: il compassato lombardo Orellana guarda nel vuoto, comincia a covare i dubbi che lo precipiteranno nella lista di proscrizione del blog. Giarrusso è divorato dalla paranoia, alla ricerca del nemico interno, preoccupato da lettere anonime. Anche gli occhi di ghiaccio di Airola cedono allo smarrimento.

FINO ALL’ALTRA sliding doors, quella del suicidio del Pd bersaniano che rielegge Napolitano e spalanca la strada a Renzi, mentre i grillini fuggono dalla piazza che protesta, per paura di intemperanze («Noi teniamo calma la gente, ci dovrebbero ringraziare», dice Grillo ai suoi il giorno dopo). I concorrenti ritornano al reality show del loro partito e a calcare i marmi del parlamento, diventato la casa dorata delle loro solitudini.