L’ex procuratore speciale Robert S. Mueller III che ha condotto l’indagine sulle interferenze russe nelle elezioni Usa del 2016, il Russiagate, ha reso la tanto sospirata testimonianza davanti al Congresso, interessato a conoscere la sua opinione anche riguardo alla condotta di Trump.

IERI MUELLER È COMPARSO davanti alla Commissione giustizia della Camera al mattino e nel pomeriggio ha risposto alle domande del Comitato di intelligence della Camera (mentre scriviamo questa seconda parte è ancora in corso). Se si dovessero riassumere le sue dichiarazioni nelle infinite ore di udienza bisognerebbe ricordare la risposta sul reato di ostruzione alla giustizia commesso da Trump: «Nel rapporto il presidente non è stato scagionato». E davanti al comitato di intelligence, la frase più ricorrente sul Russiagate è stata: «Non è una caccia alle streghe».

QUESTI DUE PASSAGGI contraddicono direttamente i due slogan-mantra di Trump – «Nessuna collusione, nessuna ostruzione» e «È una caccia alle streghe»; stando a Mueller invece il Russiagate è una realtà preoccupante e pericolosa, la collusione tra il comitato della campagna elettorale di Trump e i russi e l’ostruzione alla giustizia da parte del tycoon ci sono state eccome, e l’unica ragione per cui non ha incriminato The Donald è stato perché non poteva incriminare un presidente in carica. Mueller lo ha ripetuto rispondendo alla diretta domanda del deputato democratico Ted Lieu.

A fornire ai democratici una delle dichiarazioni chiave è stato paradossalmente il repubblicano Ken Buck, quando ha chiesto: «Crede di poter accusare il presidente di ostruzione alla giustizia, dopo che avrà lasciato l’incarico?». La risposta è stata un netto «Sì».

MUELLER HA SEMPRE RISPOSTO con un tono tranquillo e monocorde e solo occasionalmente fermo, rimandando spesso al suo rapporto («questa è già la mia dichiarazione giurata»), con molti «non posso rispondere» riguardanti per lo più il comportamento del procuratore generale William Barr, che dopo aver letto il rapporto aveva sbrigativamente scagionato Trump, e i dettagli riguardo gli interrogatori del Russiagate. «Mueller ha fornito gli elementi essenziali di una condotta criminale – ha dichiarato il senatore democratico Richard Blumenthal – non nel modo più vivido o drammatico, ma solido. Pezzo per pezzo, è un mosaico che inchioda il presidente, Mueller è perciò ovviamente molto attento e cauto».

Ed è stata proprio questa cautela, che ha caratterizzato tutta la gestione della pubblicazione del rapporto, ad esasperare i democratici, in special modo durante la prima udienza alla Camera, dove il sottotesto di ogni domanda sembrava essere, «visto che Trump è colpevole praticamente di qualsiasi cosa, perché questo non è stato scritto in chiare lettere nel rapporto senza possibilità di manipolarne le conclusioni?».

LA RABBIA DEI REPUBBLICANI, invece, derivava dall’impossibilità di continuare con la favola dell’amministrazione cristallina infangata da menzogne. I deputati hanno preferito mettere Mueller sotto accusa per essersi circondato di collaboratori sfegatatamente anti Trump, definendo il suo rapporto «anti americano» e insinuando che il procuratore speciale sia in realtà solo un povero vecchio manipolato dalla resistenza democratica.

Durante gli attacchi più o meno velati che piovevano da entrambe le parti, il burocrate Mueller è rimasto costantemente identico a se stesso, personaggio da echi letterari di inizio ‘900, circondato da un alone di grigia rettitudine antitetica ai palcoscenici televisivi delle baracconate trumpiane.

Prima ancora che le udienze iniziassero Trump parlava di «attacco illegale e scrupoloso al Paese», definendosi «un presidente molto innocente».