Babel Med Music ha invaso per il dodicesimo anno consecutivo i Dock Des Suds di Marsiglia con il suo formato di fiera – festival. Tre giornate dedicate alle musiche del mondo, con incontri, convegni, proiezioni, showcase; e altrettante serate piene di concerti, con gli artisti provenienti da 23 paesi diversi a mescolare in 31 show suoni tradizionali ed elettronica, spirito rock apolide e canzone virata alle spezie sonore dei continenti di provenienza.

Sono gli appuntamenti serali, va da sé, a richiamare il maggior numero di spettatori, i momenti in cui il popolo dei delegati e degli addetti ai lavori si fonde con chi paga il biglietto per scoprire, curiosare, toccare con mano nuove realtà o ritrovare vecchie conoscenze. È una dimensione importante, per la missione del festival: chi è qui per valutare la qualità degli artisti e la loro originalità al fine di concludere accordi per tournée e altri festival ha anche la possibilità di vedere che effetto facciano gruppi, dj, cantautori e bande sugli spettatori.

Sotto questo profilo, a sedurre l’audience sono stati in prima battuta i freschi musicisti e cantanti maliani del Bamba Wassoulou Groove, ma non per questo in soggezione rispetto alle celebrità che il paese sta seminando per il mondo. Il progetto è fresco e originale, con incursioni nel falsetto del cantante Ousmane Diakité.

ravolgente anche il set dei Saodaj, in arrivo dalla Réunion con un chiodo fisso: far conoscere e al tempo stesso rinnovare la maloya, la musica popolare meno conosciuta del connazionale séga ma altrettanto ricca di spunti per la contaminazione. Tutto sotto la guida della splendida voce di Marie Lanfroy, con il contrappunto quasi sciamanico del canto maschile.

Buone notizie anche da Capo Verde, con la poco più che ventenne Elida Almeida a spasso tra morna e swing, coladeira e squarci di soul graffiante alla Aretha Franklin. La galleria di voci femminili in ascesa include María Símoglou, greca residente a Marsiglia che rilancia canzoni d’inizio Novecento ripescate nel patrimonio popolare di Smirne, nonché il blues latino di Alejandra Ribera.

Un po’ dappertutto, si sa, la parola d’ordine è da qualche anno a questa parte «progetto». Se ne fregiano in tanti, troppi, va detto; progetti personali e collettivi, paralleli e così via. C’è però chi ha ragione di adoperare l’altisonante denominazione. A Babel Med 2016, vera progettualità l’hanno espressa sul palco gli scozzesi Breabach, con un prezioso tessuto folk intriso di swing portato in dote dal contrabbasso; i francesi Turbo Sans Visa, capaci di far girare senza intoppi la storica voce bretone di Erik Marchand, i ritmi elletro balcanici di Dj Wonderbraz, il rap di K-Smile con la simpatia contagiosa della vocalist Marion Gwenn.

Progetto vero è anche quello dell’unica griffe italiana in cartellone, Kalàscima, sempre più sicuri nel loro mélange di elettronica e radici salentine, denunciato a inizio show: «per noi la tradizione non è un museo». Altrove (La Gallera Social Club dal Venezuela, 7 Son @To dalla Guadalupa) la strada sembra ancora lunga. Per quanto concerne la città ospitante, Marsiglia è la base operativa dei Temenik Electric, che confermano dal vivo gli enormi progressi messi in mostra con il secondo album, Inch’Allah Baby, esplicito fin dal titolo nel gioco di sponda tra suoni africani, in particolare blues desertico, e vocazione rock’n’roll.

Il materiale inciso ad Avignone è stato ottimizzato agli studi Real World di Bath da Justin Adams e la voce di Mehdi Haddjeri è giunta alla piena maturazione. Produttore del gruppo più importante nella storia dell’hip hop cittadino, gli I.A.M., Imothep si è dal canto suo cimentato in un intenso viaggio dub notturno.

Tra gli incontri pomeridiani non poteva mancare uno sguardo verso l’emergenza migrazioni. Coordinati dallo European Forum of Worldwide Music Festival, gli esponenti dei principali happening del settore si sono interrogati sul proprio ruolo. Il punto non è sensibilizzare il pubblico di nicchia, già attento, ma farsi promotori di iniziative verso l’esterno, dalla raccolta di strumenti per i campi profughi ai programmi di formazione per i bambini, fino agli spazi da offrire alle prime formazioni che un po’ dappertutto stanno timidamente nascendo nelle tendopoli e nei centri d’ospitalità.