Sembra un week end come tanti. Non lo è. Di qui a pochi giorni la maggioranza affronterà la prima vera prova che ne mette a rischio la sopravvivenza. L’ipotesi di un rinvio della sentenza definitiva Mediaset si è fatta remota. Alla fine persino Berlusconi ha chiesto di decidere subito. Se la sezione feriale della Cassazione gli darà retta tra martedì e mercoledì prossimo la sorte di Silvio Berlusconi sarà segnata. Il rinvio a un nuovo processo d’appello non lascerebbe le cose come stanno: rafforzerebbe di molto il governo. L’imputato si convincerebbe di aver visto giusto nel difendere a ogni costo lo scudo rappresentato dal sostegno al governo: e chi lo smuoverebbe più?

In caso di condanna le cose starebbero diversamente, ma forse meno del previsto. La decadenza da parlamentare è un processo lunghetto, questione di mesi e i paladini della stabilità si darebbero da fare per allungarli ancora. In quel lasso di tempo il Cavaliere avrebbe modo e tempo di preparare una mossa di contrattacco. Far cadere il governo subito, esponendosi o alla nascita di una nuova e ostilissima maggioranza o a elezioni nelle quali non potrebbe giocare in prima persona, una scelta poco astuta. Anche nell’eventualità per lui peggiore, Berlusconi probabilmente continuerà a scommettere sul governo Letta.
Sin qui le previsioni del premier sono dunque giustamente rosee. Quando però si passa alla sostanza delle cose la prospettiva si rovescia e le nuvole coprono ogni spicchio di sole. In questi tre mesi il governo non è riuscito a liberarsi da nessuna delle due ipoteche ne condizionano, se non la sorte, almeno l’operato: le divisioni all’interno della maggioranza e il ceppo europeo. Ieri a palazzo Madama, Letta ha risposto alle domande dei senatori sulla crisi economica, confermando l’impasse. Sull’Imu, linea del fuoco nello scontro tra Pd e Pdl, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Sulla gabbia europea ha sbandierato come grande vittoria quel che è in realtà un risultato inconsistente, il finto allentamento del rigore, e ha usato l’argomento posticcio per giustificare la scelta di insistere sulla via della “virtuosità”, come è di moda definire il massacro sociale.

Ai due nodi irrisolti se ne è aggiunto un terzo: lo scontro sempre più frequente tra il governo e il parlamento. Il decreto sulle carceri era partito bene dal ministero di via Arenula, poi il Senato lo ha sfregiato in più punti. Il decreto Ilva era pieno di limiti nella versione del governo: grazie alla Camera è diventato del tutto indigeribile. Insomma, il governo può fare molto poco e quel poco non riguarda quasi mai il cuore dell’emergenza, cioè l’adozione di misure anticicliche per combattere la crisi. Anche quel poco, però, è esposto agli agguati di cospicue aree della maggioranza che, facendo blocco con pezzi d’opposizione, riescono puntualmente ad affondare tutto.

Alle soglie della pausa estiva il quadro presenta dunque numerosi aspetti apertamente paradossali. Il governo è più che mai solido, in virtù di un gioco di circostanze tra le quali figura non all’ultimo posto l’ostilità congenita del Capo dello Stato alla sola idea di riconvocare alle urne il popolo ex sovrano. Ma è anche più che mai condannato all’impotenza e alla passività.

Anche da questo punto di vista la risposta di Letta nel question time del Senato sul come risolvere la tragedia degli esodati, l’ammissione implicita di non averne la minima idea, è eloquente. Molti si felicitano comunque per la raggiunta stabilità. In effetti, volendo, si può dire che le situazioni di stallo, o di paralisi, siano tra le più stabili.