Non è che a tutti piacciano le prodezze sportive né tanto meno piace a tutti sentir parlare e leggere di sport. Ma anche per coloro che di sport ci capiscono poco o niente ci sono occasioni ottime in cui sospendere la diffidenza; anche per coloro che si sono stufati di sentir dire che il famoso cronista di eventi sportivi Gianni Brera fu un grande cultore della lingua italiana e, quindi, anche uno dei maggiori scrittori, ci sono buone occasioni per far tacere retrogusti amarognoli e mettersi una buona volta in ascolto senza pregiudizi. Leggessero Fútbol di Osvaldo Soriano (Einaudi, 1998) oppure il romanzo di Giuseppe Munforte sul pugile-adolescente La prima regola di Clay (Mondadori, 2008) o i racconti sul baseball scritti da Ring Lardner nel secondo decennio del secolo scorso raccolti in Armonia (Nuova Editrice Berti, 2013).
Lo sportivo riluttante avrebbe a che stupirsi anche nel caso si imbattesse in alcune pagine di Luigi Meneghello, SPOR. Raccontare lo sport tra il limite e l’assoluto (Rizzoli, pp. 168, euro 12.00), che sono state tratte dal suo Fondo conservato presso il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia per la cura di Francesca Caputo, cui si deve un saggio introduttivo che chiarisce e interpreta queste pagine. Il racconto che qui viene proposto non si è mai veramente formato tra le mani del suo autore, anche se la parte che raccoglie SPOR, seppur ancora sfilacciata, presenta i segni di una cura e di un progetto d’autore abbastanza avanzati e non casuali. Quasi comica sportiva, divertenti e dal sapore antico, le avventure di S. hanno tutto l’aspetto della parodia bio o autobiografica: S. è impegnato in ogni disciplina come se dovesse raggiungere le massime vette di abilità e successo, mostrare ogni volta a sé e agli altri di essere il migliore.

ALPINISMO, ginnastica e atletica nelle varie specialità, il calcio, la box, il nuoto, lo sci, S. si proietta come un dominatore degli elementi e un portatore di grazia. Naturalmente trionfa anche quando i risultati sono scadenti, perché l’ispirazione è sì anti-olimpica (l’importante è vincere non partecipare) ma la sua filosofia è concentrata sull’intenzione agonistica: si può fallire solo se il desiderio di eccellere è venuto meno.
Queste pagine sono poi accompagnate da altre pagine sportive, fatte di cronaca diaristica e di ricordi su episodi sportivi vissuti o visti dagli anni ’60 agli anni a doppio zero, dove domina ancor più forte lo sguardo autobiografico ma ugualmente pervase da un potente occhio ironico e da una memoria un po’ indulgente. Il bello di queste scritture sta nel costante gioco linguistico in cui gli oggetti di narrazione sono ingaggiati e rievocati: c’è un’aria allusiva a situazioni e a contesti che fanno materia e luogo comune, nei quali Meneghello si diverte a imbrigliare e poi a liberare personaggi e lettori. Anche questa è una prova d’abilità, una sportività della lingua che ha il merito di far ridere il giusto.

L’AGONE, la continua sfida, il superare gli altri fino a riuscire a sorprendere se stessi, naturalmente, finiscono per costruire un macigno di egocentrismo; vizio per molti, deviazione dell’amor proprio per altri, rischio di noia mortale per i più, l’attività sportiva pare una scusa per raccontare la lotta all’esuberanza del proprio io e la scrittura un modo per esorcizzare il rischio del sé, quasi che prendere in giro la propria immagine sportiva diventasse un riparo dai danni collaterali della visione egocentrica.