Olioliolà, la huelga vencerà! Huelga in castigliano è sostantivo femminile, significa sciopero e la huelga femminista dell’8 marzo 2018 in Spagna, ha vinto davvero, ha rotto tutti gli schemi, ha messo a soqquadro partiti politici e sindacati, ha occupato lo spazio pubblico e almeno un po’ sovvertito lo stato delle cose. Non è stata una mobilitazione simbolica come quella del 2017, ma uno sciopero reale, convocato per 24 ore. Una proposta audace che ha scardinato l’idea di sciopero legato all’ambito lavorativo della produzione e si è esteso all’ambito dell’istruzione, del lavoro domestico e di cura, fino ad arrivare allo sciopero dai consumi.

Secondo i due principali sindacati, Ccoo e Ugt, che hanno aderito solo formalmente senza convocare neanche un’ora di sospensione dal lavoro, sono stati 5 milioni le lavoratrici e i lavoratori che lo scorso anno hanno scioperato, grazie al coinvolgimento e alla copertura legale dei sindacati minori e di base.

Se si fermano le donne si ferma il mondo e così è stato, con blocchi nel sistema scolastico, nella pubblica amministrazione, nei servizi sanitari, nelle grandi catene di supermercati, nei trasporti e nell’informazione.

Una riuscita inaspettata per i media nazionali, ma prevista dai 300 collettivi femministi coinvolti, che, per oltre un anno, hanno preparato la mobilitazione fino a deflagrare in quello che la Bbc ha definito «uno sciopero senza precedenti», subito diventato riferimento per gli altri movimenti i in Europa.

Cosa ha reso possibile questa esplosione di femminismo in un paese cattolico e familista come la Spagna? Con un movimento poco istituzionalizzato, senza finanziamenti e con scarse strutture a disposizione?

Nel 2011, durante il governo socialista di Zapatero, è iniziata l’ondata di indignazione sociale che ha portato al movimento 15M, giovani e meno giovani accampati a Plaza del Sol a Madrid, fuori dall’egemonia di qualsiasi sigla politica. Un grande striscione avvertiva: «La rivoluzione sarà femminista o non sarà». Quando lo striscione è stato strappato i maschi presenti hanno applaudito. È da allora che il femminismo ha iniziato a farsi strada in maniera volutamente autonoma tra le mobilitazioni sociali. Si sono moltiplicati i collettivi nei quartieri e nelle università, senza bisogno del permesso di nessuno. Sempre più donne che non avevano mai avuto una militanza stavano capendo l’importanza dell’approccio femminista nella partecipazione politica.

Migliaia di donne giovani si sono attivate, per la prima volta, con le femministe della campagna #YoDecido lanciata contro la revisione della legge sull’aborto, richiesta nel 2014 dal ministro della giustizia del governo Rajoy, il conservatore Gallardon, poi sconfitto e costretto a dimettersi. Le lavoratrici domestiche e quelle degli alberghi, in lotta per i diritti del lavoro, si sono sommate alle femministe della piattaforma 7N che nel 2015 avevano organizzato la Marcha Estatal per chiedere che la legge contro la violenza di genere includesse tutte le forme di violenza, fisiche e psicologiche, e prevedesse una copertura per tutte le donne, senza discriminazioni, anche fuori dalla famiglia tradizionale.

Poi in piena campagna internazionale del #MeToo, sono le femministe a riportare il tema della violenza sessuale e dell’abuso di potere al centro del dibattito pubblico, con il movimento HermanaYoTeCreo – sorella io ti credo – dopo quello stupro di gruppo, nel corso della festa locale a Pamplona, derubricato dai giudici ad «abuso sessuale». Tantissime e numerose le proteste per denunciare il trattamento subito durante il processo, da parte dei giudici e dei media, dalla ragazza oggetto della violenza.

Le donne spagnole hanno guardato con curiosità fuori dai propri confini, hanno prestato attenzione all’International Women’s Strike del 2017 che ha unito la Polonia all’Argentina, passando dall’Italia e dalla Turchia, per una rete di oltre 55 paesi. Ci hanno creduto in molte e hanno dato inizio al lungo anno di organizzazione e di mobilitazioni femministe. Convocazione di assemblee territoriali, ogni 8 del mese, coordinamento a livello nazionale e una vivace partecipazione alle riunioni, agendo dal basso, in modo trasversale e utilizzando le reti sociali come amplificatore.

Un fermento spontaneo e dinamico che ha fatto maturare la consapevolezza che la vita delle donne continua ad essere segnata da disuguaglianze, dalla violenza maschile, dalla precarietà e dalla non corresponsabilità dei maschi e dello stato nel lavoro riproduttivo, domestico e di cura non retribuito.

Secondo i dati pubblicati dall’Ine, l’istituto nazionale di statistica spagnolo – la precarietà colpisce di più le donne e la maternità continua a penalizzarne la carriera. Quando hanno un lavoro, sono le donne a chiedere l’aspettativa per accudire i familiari e a ricevere comunque salari più bassi.

Quest’anno l’otto marzo irrompe nella campagna elettorale delle politiche e delle europee (le elezioni nazionali si celebreranno il 28 aprile, un mese prima delle elezioni europee e amministrative del 26 maggio). Acchiappare il voto delle donne, 51% dell’elettorato, è la sfida. Il Partito Popolare che ha sempre sostenuto illegale legiferare sul divario salariale, propone un patto di stato per risolverlo. I liberisti di Ciudadanos lanciano il «femminismo liberale» incentrato sulla gestazione per altri e sulla regolamentazione della prostituzione. Il Psoe resta storicamente il partito con la percentuale più alta di votanti donne, ma con una età media avanzata. Podemos e Izquierda Unida diventano Unidas-Podemos, declinata al femminile, parlano di femministizzazione, ma hanno attratto più voti maschili. Da questa corsa si smarca l’ultradestra di Vox che della guerra alle donne ha fatto la propria bandiera.
Intanto questo 8 marzo sarà di nuovo sciopero globale femminista.