Due giorni dopo il voto, digeriti i risultati elettorali e celebrata la vittoria calcistica del Barcellona contro il Real Madrid, l’attenzione in Catalogna e nel resto della Spagna è sul presidente destituito della Generalitat, Carles Puigdemont.

SARÀ LUI LA PERSONA che il blocco indipendentista indicherà come candidato alla guida del governo regionale? Le dichiarazioni rese ieri alla radio dal suo avvocato Jaume Cuevillas sembrano far propendere per una risposta negativa.

Il difensore del leader nazionalista ha infatti riconosciuto che il regolamento del parlamento di Barcellona non ammette la possibilità di investiture «a distanza»: la persona che aspira al ruolo di presidente della Generalitat deve essere fisicamente presente nell’aula e tenere un discorso programmatico. È lo stesso impedimento che grava su Oriol Junqueras, il numero uno di Esquerra republicana de Catalunya (Erc), altro possibile candidato, che continua a trovarsi recluso in regime di carcerazione preventiva e che nella serata di ieri si è fatto sentire con un messaggio via twitter: «Ci poniamo al servizio della libertà e della giustizia sociale».

MA PUIGDEMONT, in realtà, sembra intenzionato a provarci, sentendosi non a torto uno dei vincitori del voto di giovedì.

Confortato, in questo, anche da una dichiarazione molto significativa di uno dei dirigenti di maggior peso di Erc, Joan Tardà, che ieri gli ha riconosciuto di essere la persona legittimata a ri-diventare presidente. Le forze indipendentiste, tanto Junts per Catalunya di Puigdemont quanto Erc, dovranno quindi utilizzare le vacanze natalizie per definire quale strategia adottare.

UN’IPOTESI IN CAMPO, diversa da quella di puntare su Puigdemont, è quella di far dimettere gli eletti che si trovano agli arresti in modo da poterli sostituire e garantirsi i numeri in parlamento. Va trovato, però, un nome che sia gradito non solo a entrambi i gruppi, ma anche alla «terza gamba» del fronte pro-secessione, gli anticapitalisti della Cup. Quelli che due anni fa fecero saltare la testa di Artur Mas, compromesso con le politiche di tagli al welfare regionale, imponendo di fatto la scelta di ripiego sul molto più defilato (e meno divisivo) Puigdemont.

Da Bruxelles, in un’intervista all’agenzia Reuters il presidente catalano deposto si è rivolto ieri al re spagnolo Filippo VI, invitandolo a utilizzare il tradizionale discorso natalizio di stasera (che, peraltro, la catalana Tv3 non trasmetterà) per rettificare la linea tenuta sin qui. Il riferimento è all’intervento che il monarca fece nei giorni successivi al referendum indipendentista dello scorso primo ottobre: furono parole di totale chiusura nei confronti delle istanze emerse da quelle urne e non ci fu cenno alcuno alla repressione della polizia.

UN GESTO DISTENSIVO di Filippo VI potrebbe aiutare a smuovere qualcosa, ma non bisogna farsi troppe illusioni: la famiglia reale spagnola deve attenersi, da Costituzione, a una rigorosa neutralità politica, senza prendere autonome iniziative. In altri termini, il re dice sempre quello che il governo in carica vuole che sia detto.

E il premier Mariano Rajoy ha ampiamente fatto capire che, per ora, la sua strategia non cambia di una virgola, nonostante i socialisti di Pedro Sánchez e del catalano Miquel Iceta gli chiedano di farlo. A destra di Rajoy, nel frattempo, si muove l’ex premier José Maria Aznar, che tramite il suo think tank Faes elogia pubblicamente i Ciudadanos di Inés Arrimadas, «una proposta di speranza». Segno che, forse, nello Spagna conservatrice si sta cominciando a muovere qualcosa di grosso.