«Non permetteremo inammissibili violazioni della nostra sovranità». Dilma Rousseff, presidente del Brasile è intervenuta di nuovo sul Datagate, per condannare lo spionaggio illegale degli Usa di cui è stata oggetto. La lotta al terrorismo, «il pretesto addotto dalla Casa Bianca per giustificare questo tipo di pratiche – ha detto Dilma – è fuori luogo nel caso del Brasile e in quello delle intercettazioni al cellulare della cancelliera federale tedesca Angela Merkel». Si tratta di «un esercizio inammissibile – ha aggiunto – e nessun paese democratico permetterà che, attraverso la Nsa statunitense si arrechi un pregiudizio alla propria sovranità e ai diritti civili della popolazione». Una posizione già espressa in precedenza da Rousseff, che ha deciso di annullare il viaggio negli Stati uniti – il primo di un presidente brasiliano da decenni – e l’incontro con Obama. Dilma ha ribadito l’intenzione di far fronte comune con altri presidenti dell’America latina, decisi a proteggersi dallo spionaggio Usa. Per questo, nel primo semestre del 2014, il Brasile ospiterà un convegno sul tema e già da ora ha annunciato di aver disposto l’adozione di un nuovo programma di comunicazioni in tutte le amministrazioni pubbliche. Benché paese non ostile agli Usa, il Brasile ha subìto le intrusioni della Nsa a vasto raggio: non solo a livello della privacy della presidente e del suo staff, ma anche a livello economico (è stata monitorata l’attività della principale impresa petrolifera Petrobras) e militare. Sul suolo brasiliano hanno operato diverse basi clandestine dell’intelligence, alcune delle quali – ha rivelato Snowden – anche con effettivi militari. Nel mirino della Nsa, l’importante snodo di comunicazioni che passa attraverso i cavi di fibre ottiche sottomarine, intercettate principalmente con il programma Fairview.
L’inchiesta di Le Monde ha ricordato quanto già rivelato a luglio da Glenn Greenwald. Il giornalista, che per primo ha raccolto le confidenze dell’ex consulente Cia Edward Snowden, ha ottenuto la protezione del Brasile, dove ora risiede. E qualche giorno fa Greenwald ha annunciato altre rivelazioni: anche sulle intercettazioni di cui è stata oggetto la Spagna, puntualmente arrivate ieri. D’altro canto, la Nsa ha spiato anche i più fedeli alleati degli Usa, come il presidente messicano Enrique Pena Nieto e persino il suo predecessore, Felipe Calderon. E il governo messicano ha convocato l’ambasciatore Usa, aprendo un’inchiesta.
Ma se per il campo neoliberista dell’America latina le intrusioni del Grande fratello nordamericano non mettono in causa la fedeltà ai trattati di libero commercio sottoscritti ieri con Bush, né i nuovi accordi del Pacifico pattuiti con Obama, per l’area del nuovo socialismo latinoamericano le cose stanno diversamente. Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua, paesi che si ritrovano nell’alleanza dell’Alba, hanno respinto con fermezza le ingerenze, pronti ad assumersi anche le conseguenze di ritorsioni commerciali. Tutti, a luglio, hanno concesso asilo politico a Snowden. L’Ecuador ospita ancora nella sua ambasciata a Londra il cofondatore del sito Wikileaks, Julian Assange. E si sta battendo contro il rifiuto della Gran Bretagna a formare una commissione bilaterale sul caso. Morales ha respinto la provocazione subita ai primi di luglio, quando i paesi europei gli hanno impedito il sorvolo, su imbeccata Cia. Nicolas Maduro, presidente del Venezuela, ha espulso diversi alti funzionari diplomatici Usa (vecchie conoscenze Cia, già in azione a Cuba), che tramavano contro il suo governo. E ieri, a Caracas, ha presieduto una riunione con rappresentanti e direttori dell’intelligence di Cuba e Bolivia, per mettere in campo strategie di difesa comune in materia di difesa economica, sociale e militare.