Book Pride, l’orgoglio per i libri. A pochi giorni dall’esordio, la prima fiera degli editori indipendenti a Milano registra un successo inatteso. Sono 120 gli editori che hanno aderito all’iniziativa organizzata dalla cooperativa Doc(k)s e promossa dall’osservatorio degli editori indipendenti (Odei) ai Frigoriferi milanesi, l’ ex fabbrica del ghiaccio in via Piranesi 10, da venerdì 27 marzo a domenica 29 marzo.

L’obiettivo è trasformare il Book Pride in un appuntamento annuale. Un traguardo ambizioso, visto che sono stati diversi i tentativi di creare una fiera del libro a Milano. Può darsi che la vicinanza del Salone internazionale del libro a Torino abbia sconsigliato l’Associazione italiana editori (Aie) ad organizzarne un’altra in Lombardia. Questa regione rappresenta tuttavia il 30% del mercato editoriale italiano ed è anche il cuore di un’industria in crisi che nei prossimi mesi potrebbe registrare una nuova concentrazione monopolistica tra Mondadori e Rcs Libri.

Book Pride cercherà di sfatare un tabù cambiando il format e l’impostazione politico-culturale seguite dalle fiere del libro. Gli organizzatori aspirano a tutelare la «bibliodiversità», un concetto già elaborato nel 2012 nel manifesto degli editori Odei. La fiera milanese rappresenta il banco di prova per sperimentare un sistema culturale diverso da quello imposto dalla monocultura che ragiona in base al fatturato e all’omologazione del pubblico (televisivo). Per questo Book Pride può essere considerato un presidio nel cuore della bestia. Nuova, e coraggiosa, è la scelta dell’auto-finanziamento.

Gli editori partecipanti hanno versato 600 euro a stand (se membri di Odei) o, altrimenti, 700 euro. Cifre che sono la metà, o quasi, di quanto di solito pagano gli editori per partecipare alle fiere di Roma o di Torino. L’iniziativa non ha ricevuto finanziamenti pubblici né privati. La scelta è quella dell’indipendenza. A tutto tondo. Per il pubblico la novità sarà l’ingresso gratuito. Per seguire la programmazione culturale, dedicata non a caso al tema della «differenza», non si dovranno acquistare biglietti.

Non è un dettaglio da poco. Gli organizzatori dicono di essere contrari all’idea per cui per conoscere un editore, incontrare un autore, comprare un libro bisogna pagare: «Entrare in una fiera del libro non è come entrare in uno zoo». Apertura e inclusività, segnali che hanno sensibilizzato gli operatori professionali, mentre cresce l’interessamento delle librerie indipendenti milanesi.

L’indipendenza, poi, non è l’espressione solo di un format organizzativo. Questa nozione caratterizza anche lo stile e i contenuti della comunicazione sui social network. Il progetto grafico, editoriale e video è stato elaborato dagli attivisti e dagli artisti di Macao, soci di Docks. Uno studio realizzato nelle ultime settimane sulle piattaforme comunicative delle altre fiere ha rivelato un uso dei social poco organico ed estemporaneo. Manca, a parere degli organizzatori, una comunicazione pensata appositamente per i nuovi media che sappia veicolare i classici contenuti editoriali insieme al coinvolgimento attivo degli utenti.

Così concepita, Book Pride non si presenta come un evento espositivo di merci che collaziona esperienze già date, ma come un discorso collettivo basato sulla condivisione dei contenuti di chi vi partecipa. Per questa ragione è stato scelto di organizzare un media center secondo i principi del co-working. Nello stesso spazio si punta a realizzare l’interazione tra giornalisti «tradizionali», blogger, corrispondenti di webradio e webTv e delle più importanti riviste culturali online italiane (Alfabeta, Carmilla, Doppiozero, Le parole e le cose, Libera Tv, tra gli altri). Tra i media partner dell’iniziativa ci sono Macao, il manifesto, Radio Popolare, l’Institut Français. Il comune di Milano ha dato il suo patrocinio.

«Uno dei problemi che abbiamo oggi è quello di non avere un tetto comune – afferma Silvia Jop, coordinatrice del sito culturale Lavoro Culturale, media partner di Book Pride – Esiste una differenza estetica profonda nei nostri lavori, soprattutto se ti occupi di questioni culturali, che rendono difficile lo sviluppo di una riflessione organica. Partire dallo spazio in cui sviluppiamo queste pratiche, cioè il web, può essere di partenza in cui incontrarsi. Il problema è politico e riguarda tutte le professioni che lavorano con l’informazione o la cultura. Tutto si svolge su un terreno sempre più immateriale. E visto che l’unione fa la forza, si spera che ragionando insieme potremo mettere a valore l’immateriale che vale quanto i prodotti materiali».

Particolare attenzione verrà prestata alla «cultura materiale» indipendente. Nei 630 metri quadri dei Frigoriferi Milanesi ci sarà spazio anche per un’enoteca autogestita da alcuni dei vignaioli come l’Aurora o la Viranda che si oppongono all’agroindustria e all’omologazione del gusto. La stessa tensione che accomuna gli editori per i quali Book Pride è un «evento».