I farmacisti con il camice bianco guidano il corteo, dietro ci sono gli operatori delle pulizie con le scope, e poi arrivano quelli delle mense con tanti piatti di plastica: che lanciano simbolicamente contro la sede della Regione Lombardia. «Vuoti, come le nostre buste paga, visto che le imprese non rinnovano il contratto ormai da tre anni». Così è andata la manifestazione di Milano, ma i lavoratori del turismo, alberghi, fast food, pulizie, farmacie private, terme e multiservizi si sono fermati in tutta Italia, per lo sciopero che dichiarava #Fuoriservizio: sono più di un milione e mezzo di persone.

Le imprese mettono pochi euro sul piatto, e soprattutto a fronte di enormi sacrifici, che dovrebbero caricarsi sulle spalle gli stessi lavoratori: «Chiedono innanzitutto un arretramento sugli appalti, diffusissimi nel settore – spiega Giorgio Ortolani, segretario Filcams Lombardia – Vorrebbero poter riazzerare a ogni cambio il contatore dell’anzianità, gli orari, i livelli. Quella di conservare le vecchie condizioni di lavoro è una delle garanzie chiave per lavoratori già molto esposti, e se viene meno anche questa, la loro condizione sarà insostenibile».

A parte la questione degli appalti, fondamentali ad esempio nelle pulizie, ma anche negli alberghi e nelle mense, più in generale si chiedono tagli nella malattia, negli scatti di anzianità, o nei rol, i permessi individuali: richiesta tipica di multinazionali del fast food come McDonald’s e Autogrill. E intanto dilagano i tirocini e i voucher, dopo gli anni in cui il precariato si era già ben dispiegato con i contratti a termine e gli impieghi interinali.

Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs chiedono anche una «responsabilizzazione della committenza pubblica, perché vigili sugli appalti – spiega il segretario Filcams lombardo – Che si rispettino i contratti e che i lavoratori abbiano tutte le tutele: quello che riscontriamo, al contrario, è che una volta assegnata la commessa, il committente se ne disinteressa del tutto».

Lavoro che non sarà certo facilitato dal recente “colpo di mano” del governo sugli appalti: dopo un accordo con i sindacati sulla questione dei subappalti e sull’obbligatorietà della clausola sociale, il governo ha improvvisamente cambiato (in peggio) il testo della nuova legge al momento della pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

I tavoli di settore – le controparti sono varie: tra loro Confesercenti, Confcommercio, Confindustria-Federturismo – sono deserti ormai da un anno, e tutti i contratti sono scaduti nel 2013 (a esclusione delle terme, che non rinnovano dal 2011). Gli stipendi sono già magri di loro: se si considera ad esempio il caso dei lavoratori delle mense o delle pulizie (dovremmo dire meglio: le lavoratrici, visto che la gran parte degli addetti sono donne) spesso non superano i 500-600 euro al mese, al costo di orari spezzati, peripezie e spostamenti di chilometri per poter coprire diversi appalti.

A questo punto i sindacati attendono una convocazione dalle imprese, per tornare al tavolo.