Le vicende politico elettorali si avviano verso l’esito finale, quanto mai imprevedibile, con una ridda di candidati, a Roma e non soltanto, che esprime tutta la confusione e l’impreparazione dei rispettivi partiti. I loro programmi si limitano a fornire soluzioni (quando lo fanno) per quelli che sono i mali cronici di Roma: raccolta rifiuti, traffico, disuguaglianze sociali, abbandono delle periferie, questione casa, eccetera. Con quali mezzi e quali soluzioni è da dichiararsi a dopo le elezioni.

La fiducia dei cittadini è ai livelli più bassi; nessuno pensa che a Roma si possano trovare soluzioni a quello che è maldestramente indicato come “degrado della città”. E ha ragione Bascetta (il manifesto del 11.9.2021) che nel frattempo, e nell’attuale pandemia, l’unico risultato è stato quello di demonizzare ancor di più lo spazio pubblico, ovvero di concederlo ai privati (tavolini sulle strade, arenili affidati a privati) come forma di risarcimento economico per i danni subiti dai ristoratori.

Se così non fosse la candidata sindaca Raggi avrebbe dovuto nascondersi per la vergogna anziché vantare qualche effimero risultato. Nicolini, assessore troppo ipocritamente elogiato, oggi con le sue fantasie creative verrebbe deriso da tutti perché anziché farsi imbrigliare da rimedi parziali, si era proposto di farla rivivere questa città con soluzioni culturali e politiche oggi impensabili.

Perché da anni è mancato, e tutt’ora manca, un vero dibattito diffuso su cos’è questa città, sulle enormi disuguaglianze che affliggono larghi strati della popolazione, sulla svendita dei beni pubblici, sulla privatizzazione di larghe aree della capitale, sulla inefficienza della macchina amministrativa. A Roma è difficile vivere; basta scendere da un treno alla stazione Termini che l’inefficienza e la mala gestione di tutto salta subito agli occhi. O basta avere un appuntamento col dentista che è dall’altra parte della città.

I poveri si tengono a bada innalzando inferriate come sulla scalinata di Santa Maria Maggiore o nei giardini di piazza Vittorio. La metro C è diventata una leggenda, almeno dopo san Giovanni e nessun candidato sindaco saprebbe fornire risposte su come e quando essa finirà. Nel frattempo nella sua estesa periferia sorgono altri insediamenti che alimenteranno il traffico privato e renderanno ancora più fallimentare l’azienda dei trasporti pubblici.

Ma non tutto (o almeno non per tutti) va male: i centri commerciali si sono arricchiti durante la pandemia a danno delle piccole botteghe sulle cui saracinesche sono sempre più numerosi i cartelli: vendesi proprietà. I gestori degli arenili hanno avuto ulteriori concessioni privatizzando le spiagge e così i grandi ristoratori che hanno invaso marciapiedi e strade.
Quale sindaco avrà mai il coraggio di fermare queste tendenze ora che sembrano acquisite per sempre?

Le numerose e benemerite iniziative di associazioni, gruppi, volontari, finalizzate a cambiare qualcosa agiscono in solitudine, ignorate dall’amministrazione, con enorme fatica se rapportata ai magri risultati ottenuti (l’approvazione o no di una delibera, la difesa di alberi condannati al taglio, eccetera). Servono semmai a contrastare il messaggio mainstream del sindaco: “va tutto bene, lasciateci lavorare”.
Non va tutto bene, anzi va tutto male.

Questa è una città malata, che perde colpi di “bellezza” ad ogni amministrazione; si imbruttisce, si incattivisce, produce rassegnazione e cinismo nei suoi abitanti e, inutile dirlo, a farne le spese sono i più deboli, i sommersi della metropoli.
Gli abitanti sono ormai rassegnati da tempo: una frase si sente ripetere con frequenza: “voto qualsiasi candidato purché mi tolga l’immondizia davanti casa”. E accogliendo questo invito, c’è tra i candidati chi promette di farlo come fosse un’impresa eroica mai tentata prima, il massimo della modernizzazione.

L’importante è salvare il turismo, dopo il lockdown forzato, l’unica attività che non conosce crisi, anzi l’unica vera attività economica della città. Per la sua ripresa si sacrificano beni pubblici e ogni altra questione quasi che il turista fosse l’unica specie di cittadino della capitale. Una città di turisti e di centri commerciali, abitata appunto da turisti e consumatori.